sul seno del giorno in cui siamo

a Fab, Fra, Roby
dal palco un corpo è una esse, che si perde
in vocali di scena, da un lato è un baffo girato con
cura di mangiafuoco, da sotto il piercing
di una donna coi capelli corti e la schiena
cappotto di schiena, 
valigia di schiena
ricordo non dato imbastito rollato 
e passata-di-lingua
di schiena.
dal lato del bancone luccicante di brina c’è
un locale chiuso, lontano dai campi, dalle autostrade,
dalle freddure dei guardrail e le loro televisioni
accese: la notte, le luci dell’uomo come anfratti
di bocche aperte e richiuse
salivazioni,
attese,
Partiamo:
che da un giorno abbiamo appreso
 l’esigenza dell’ora,
da un tavolo un amuleto 
una penna
un’armonica un’africa 
un libro.
Partiamo,
 perchè è il nostro passo affermativo,
è il nostro poggiare 
le orecchie 
le mani
due dita 
sul suo morbido seno, 
e le labbra sul capezzolo 
del giorno in cui siamo. 

staedtler (noris)

sto lavorando a una cosa minore
che è più grande di me,
come un arco, staedtler,

che si tende dalle tue ginocchia al
labbro: gonfio.
mi danno delle scadenze
e ci gioco, me le tiro, le incollo alle impronte
come gomma-pane.

Da un campo nomadi sporco, ti saluto,
e mi auguro che alla prossima partenza
il bagaglio rosso stipato
sia uno solo.
Intanto, compro il succo fresco d’arancia,
e ripassando le O
scrivo, con matite (noris) gialle e nere
che sono un filo di lucidità nel giorno,
buono come gli altri, lui, del tendere
il filo altrui.

Antonio

Eleonora Mignoli ©
(re-processed by me)

li abbiamo attesi nel gelo racchiuso
piantati sulle mattonelle, in faccia
ai palazzi tinti di notte
che dalle finestre hanno luci
a volte rosse, li abbiamo
attesi, aprire le persiane e nel contrasto
protendersi nel vuoto, addosso ad altre lavagne, le
nostre, loro, con le loro tovaglie-aquilone…

Antonio!


Antonio!

Una voce si sporge da un labbro e abbraccia
il cortile: Antonio!

Cade.

Plana, piume, e fa curve che
segnano i fianchi molteplici morbidi
e fertili, di questa altra sera.
Ribalta,
un eco squillante
risponde: Non c’è!

Li abbiamo attesi,
dondolando con gli occhi
da destra a sinistra facendo, così, lo stesso suono del
treno a vapore, sincopati stunf stunf
nel silenzio dei nostri balconi
sussurrati dalle pompe
gelate del cuore. Hanno riaperto e poi chiuso le finestre,
per anni,
senza mai lasciarci andare, tenendoci aggrappati a
tovaglie che la notte hanno
forma di volo aquilone.

come striscia

quella striscia linea sottile
che particelle a noi sconosciute hanno
dipinto, come segno di tappo o vasetto
crosta marrone sul cucchiaino,
quella linea di caffé che ha fatto la sera, arcobaleno è
tua, solo tua, io ho
tre e quattro minuscole vocali per
consegnartela, e dirtelo, come corona
con la tastiera la afferro e la uso
per tenerti i capelli
scioglierteli al giorno, farne un disegno
screpolato come la mano
riscaldata a covare sul tuo petto il
nostro bel sogno.

(bozza – 1)

di corsa in cosa di scontrino in scontrino
ho passato le mie mani più in tasca
che altrove, il ripiano di questa scrivania, la
tua fretta e la tua inadeguatezza:
vorrei spazzarle via ora come fa la madre mia con la
scopa di saggina nelle case altrui 
dove tesse pozioni che mi hanno fatto
crescere tanto:
che freddo su questi balconi, 
che freddo di aspettativa,
invece di farti uscire ti avrei dovuta tenere a me, qui
soli per me,
riempirti d’acqua e berti:
guardarti entrare in palestra di notte
affacciato al marciapiede che è un promontorio proteso
verso il migliore paesaggio;
la tua giovane schiena che mi saluta,
senza che tu artista 
debba sentire il bisogno di voltarti,
o anche solo quello
di sentirmi quassù.

moods

battiti di una luce
contro questa parete
gioia: la camera da letto
e tre viole messe apposta piegate premute
                  dentro all’amplificatore.
Come sto, mia cara,
distrazione. Dai doveri dai progetti dalle mie cose,
come sto, mia cara ampia bottiglia
che metti la pancia verso ovest
quando l’onda ti schiaffeggia, il cielo è bruno,
il sale degli scogli là-in-fondo:
un labbro screpolato
che viene morso da sé, è lei che prova, ci prova
a venirti incontro, ma l’orizzonte la
sovrasta. E l’alba si soffoca, ala che
si spegne come mano
chiusa.

l’angolo del cielo

Il ballo più bello, ballerina, 
tip tap fra tasti bianchi
e la luna riflessa 
di questa tua grande schiena…
“quando arrivi, quando verrai per me, 
guarda all’angolo del cielo”

un bacio è là nascosto 
pendente dal mio labbro
un bacio è là a colare
disegna i suoi puntini
per il giorno in cui
con questa penna tinta rossa
per il giorno in cui
userò il cielo come carta
e nella notte io farò
con metafore e col sale
di te costellazione.

questo mio posto

le stazioni della polizia postale, tinte anni fa
col loro atteggiamento fascista, rettangolare
e scrostato, o le tapparelle di uffici battuti dal sole
dove la polvere fa tappeti dentro moquette:
ci fa caldo dentro un caldo che preme e trattiene.
gli alberi piantati nel mezzo di piana
e i tetti sfondati di marcio con le porte ben chiuse,
i ragni all’umido addiaccio.
i fili smagliati tirati, onde lunghe
 nelle risaie come un riflesso striate sul cielo,
coi tir fermi immobili a pensare a dormire
su strisce di cemento che portano
a eterotopie coperte di nebbie e di sale.
i tubi gialli del gas, tirati su dalla terra,
due stivali abbracciati nel fango. Una ruspa gialla
ferma nel cortile di una cascina
è un monumento che stende il suo braccio
a riposo sul mondo.

family portrait

quanta pazienza abbiamo avuto, oggi,
di quelle risate d’ovatta e camino, di quelle zampe
di gatto, il suo pelo striato
sui divani dove i nostri mesi migliori venivano
a fare la questua alle aspettative future, dicendo,
non ci aspettate, non ci aspettate,
godete di ogni momento, godete senza
chiedervi mai, com’è.

quanta pacatezza, nei tuoi movimenti,
incrociare le tue mani
le sue zampe
quanta semplicità,
parlargli in una lingua da baciare,
far passare i minuti distesi
senza aver paura del prossimo
esame da venire. Sentirti finalmente distesa
su me, sentirti così chiamarti amore e
vedermi girare…

Into my arms

a F.

si aprono come fa il cucchiaino nella tazza le tue dita
tra i capelli un piede che-affonda-nella-sabbia;
un battito di ciglia di un angelo ha fatto uno squarcio nel cielo
è fiondato il mattino quando il pescatore ha voltato
le spalle e ha incrociato l’odore
del sale un gioco di denti su per le vene

E se fra queste dita posso
riconoscerti tale,
padre

si aprono, ombre candele: fiamme scomposte sul muro
fessure tra le tapparelle da cui sale improvviso
il grido di gioia di una donna sorpresa d’amore sulle sue 
scale a venire, si aprono come quelle telefonate che dicono
di numeri oltre la soglia entro cui
il corpo decomposto continuerà a respirare
Io credo nell’amore
nei tuoi odori
nelle tue 
mani arate
così

sono improvvisi 
lambiscono il volto
quante volte ci sono passati accanto quante volte ci hanno
abbracciato per un momento: la morte è 
ovunque è come la bellezza riflessa di 
questo nostro giorno
improvviso come una bocca impastata
rossa di vino che allappa
Io le unisco 
perchè tremo per me.
Mentre sono 
qui sono
qui io
sono
Eretto per te.
quando ci mancherà il fiato per le nostre letture
avremo avuto ragione 
di tutto ragione, fino ad allora fermi qui, a guardarle aprirsi e 
andare, il bicchiere passato di mano il presente
impastato come un ricordo dove rimangono solo le rughe
di cui sia benedetto
il sole e le pupille che hanno il coraggio di bruciarsi
in suo nome.
Ti stringo tra le mie braccia,
ora, 
se non mai, 
con la forza
che ho
col fiato che –
e ti tengo sul seno.

Io credo 
l’amore ci
credo.