staedtler (noris)
sto lavorando a una cosa minore
che è più grande di me,
come un arco, staedtler,
che si tende dalle tue ginocchia al
labbro: gonfio.
mi danno delle scadenze
e ci gioco, me le tiro, le incollo alle impronte
come gomma-pane.
Da un campo nomadi sporco, ti saluto,
e mi auguro che alla prossima partenza
il bagaglio rosso stipato
sia uno solo.
Intanto, compro il succo fresco d’arancia,
e ripassando le O
scrivo, con matite (noris) gialle e nere
che sono un filo di lucidità nel giorno,
buono come gli altri, lui, del tendere
il filo altrui.
Antonio
li abbiamo attesi nel gelo racchiuso
piantati sulle mattonelle, in faccia
ai palazzi tinti di notte
che dalle finestre hanno luci
a volte rosse, li abbiamo
attesi, aprire le persiane e nel contrasto
protendersi nel vuoto, addosso ad altre lavagne, le
nostre, loro, con le loro tovaglie-aquilone…
Antonio!
Antonio!
Una voce si sporge da un labbro e abbraccia
il cortile: Antonio!
Cade.
Plana, piume, e fa curve che
segnano i fianchi molteplici morbidi
e fertili, di questa altra sera.
Ribalta,
un eco squillante
risponde: Non c’è!
Li abbiamo attesi,
dondolando con gli occhi
da destra a sinistra facendo, così, lo stesso suono del
treno a vapore, sincopati stunf stunf
nel silenzio dei nostri balconi
sussurrati dalle pompe
gelate del cuore. Hanno riaperto e poi chiuso le finestre,
per anni,
senza mai lasciarci andare, tenendoci aggrappati a
tovaglie che la notte hanno
forma di volo aquilone.
come striscia
che particelle a noi sconosciute hanno
dipinto, come segno di tappo o vasetto
crosta marrone sul cucchiaino,
quella linea di caffé che ha fatto la sera, arcobaleno è
tua, solo tua, io ho
tre e quattro minuscole vocali per
consegnartela, e dirtelo, come corona
con la tastiera la afferro e la uso
per tenerti i capelli
scioglierteli al giorno, farne un disegno
screpolato come la mano
riscaldata a covare sul tuo petto il
nostro bel sogno.
(bozza – 1)
o anche solo quello
di sentirmi quassù.
moods
battiti di una luce
contro questa parete
gioia: la camera da letto
e tre viole messe apposta piegate premute
dentro all’amplificatore.
Come sto, mia cara,
distrazione. Dai doveri dai progetti dalle mie cose,
come sto, mia cara ampia bottiglia
che metti la pancia verso ovest
quando l’onda ti schiaffeggia, il cielo è bruno,
il sale degli scogli là-in-fondo:
un labbro screpolato
che viene morso da sé, è lei che prova, ci prova
a venirti incontro, ma l’orizzonte la
sovrasta. E l’alba si soffoca, ala che
si spegne come mano
chiusa.
l’angolo del cielo
questo mio posto
le stazioni della polizia postale, tinte anni fa
col loro atteggiamento fascista, rettangolare
e scrostato, o le tapparelle di uffici battuti dal sole
dove la polvere fa tappeti dentro moquette:
ci fa caldo dentro un caldo che preme e trattiene.
gli alberi piantati nel mezzo di piana
e i tetti sfondati di marcio con le porte ben chiuse,
i ragni all’umido addiaccio.
i fili smagliati tirati, onde lunghe
nelle risaie come un riflesso striate sul cielo,
coi tir fermi immobili a pensare a dormire
su strisce di cemento che portano
a eterotopie coperte di nebbie e di sale.
i tubi gialli del gas, tirati su dalla terra,
due stivali abbracciati nel fango. Una ruspa gialla
ferma nel cortile di una cascina
è un monumento che stende il suo braccio
a riposo sul mondo.
family portrait
quanta pazienza abbiamo avuto, oggi,
di quelle risate d’ovatta e camino, di quelle zampe
di gatto, il suo pelo striato
sui divani dove i nostri mesi migliori venivano
a fare la questua alle aspettative future, dicendo,
non ci aspettate, non ci aspettate,
godete di ogni momento, godete senza
chiedervi mai, com’è.
quanta pacatezza, nei tuoi movimenti,
incrociare le tue mani
le sue zampe
quanta semplicità,
parlargli in una lingua da baciare,
far passare i minuti distesi
senza aver paura del prossimo
esame da venire. Sentirti finalmente distesa
su me, sentirti così chiamarti amore e
vedermi girare…
Into my arms
si aprono come fa il cucchiaino nella tazza le tue dita
tra i capelli un piede che-affonda-nella-sabbia;
un battito di ciglia di un angelo ha fatto uno squarcio nel cielo
è fiondato il mattino quando il pescatore ha voltato
le spalle e ha incrociato l’odore
del sale un gioco di denti su per le vene