La prua

 

Appollaiati alle spalle del giorno

abbiamo visto una nave pirata e la nave,

rapida taglia assi e contesti, tempi e modi di scena,

tendoni, bottiglie,

ci pare sempre rifletta ma é

distruttiva.

 

Si ama avanti e dietro per

palindromo labbiale.

 

Ora siamo fermi, le braccia racchiudono gambe

racchiudono tempo, gli occhi, i sederi le

mani altrui, racchiudono odori, la pioggia

le scarpe e schiene appoggiate

alla metropolitana. Ora la nave

l’abbiamo persa di vista e

a vista annebbiata

discendiamo

di schiena

dalla sua

prua.

Da leccare

Caduto, scivolato là dove guardi tu e proprio

perché guardi così teso e lontano

mi era impossibile non cadere, tenere a freno la

vertigine di mano, progetti a caso,

giacche appese, posate distese,

 

intimità che viene e come venire in

una esaltazione si spegne,

e siamo già in bagno a lavarci di

dosso, l’orizzonte: cadere.

 

Ora, dove si va?

C’è troppa acqua troppo cielo

nessuna relazione,

un punto di riferimento, questa libertà,

inutile, in natura non c’è

non esiste – pare un labbiale di nuvola che

a testa in giù canta,

volare.

 

Torniamo al fondo,

al fondo del bicchiere tu e io,

a piantarlo sulla sabbia e a farci le forme,

il formaggio,

quello che vuoi. Torniamo a farci lavare il sale

dall’acqua di mare,

che ci lascia su un humus di salsedine

da leccare.

Le nostre motivazioni

Nei miei passi c’è la certezza delle mie motivazioni,
e il fatto che né passi né motivazioni siano mie
non emerge, non sovviene.

Imperterrito ho radice come bussola,
e mi muovo tra la gente così, ho direttrici e movimenti di gamba,
anca, spalla. Seguo i miei progetti e il fatto
che né passi né progetti mi appartengano
non emerge, non sovviene.

Ma oggi per un momento
ho alterato il colore, visto la profondità del tratto,
la luce che dà vita a sfumature.
Non stavo pensando,
stavo immobile e vuoto, completamente
riflettendo
che è opposto a riflettere
contemplando,
stavo

sul cornicione appoggiato.

Ero libero perché dissociato
una cosa che uno prende e butta
senza darsene pensiero, quando non ci sono
né prendere o buttare, solo un uomo
e una donna nudi
dentro, aperti al resto.

Fino a quando mi sono ricordato che,
mosso un passo verso,
e si è inchiodato
tutto.

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Notturna, 1

Questo posto fa paura la notte
coi ragni a venire su dal parquet, finestre
come fondi di bicchiere, consunte,
le labbra seccate da serate
a far serra sotto coperte serrate, quattro mandate
alla porta, i capelli una cuffia,
le ciabatte per sicurezza piegate pronte
all’espatrio.

Siamo nei sogni ora, ci siamo,
un amo lanciato a cogliere un t’amo
sulla scia di un talamo in attività.
Una casa una bara una mano, il padre
la madre, una spada. E via,
andare.

Qui sotto ti senti protetta con me
mentre sei sola tra i ragni e la notte

e fai sogni che non si possono dire
che anche il ragno piega la testa
per non doverli sentire.

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BW

Un piano è una sistemazione
di tasti alternati,
il gesso che sbriciola, la lavagna.
C’è una luce che filtra tra le parole
le lascia sospese senza riflessi o flessione,
lo schermo di latte,
e tutte le inespresse voglie scure.
Mi pare il sole visto da un treno
keniota, l’occhio di un afroamericano,
il cioccolato fondente la panna,
la gola, i denti, grande vuoto,
le sue labbra.
Una tensione,
è spento.
Accedo a una luce sparata negli occhi
che guarda dentro,
s’inghiotte, e rimane
uno stallo
del nero e del bianco.

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Ombre (Black&White)

P1020480

Nella borsa ho i contanti per uccidere l’uomo,
le spatole le spugne il Vangelo, piegato,
ho guanti che non bruciano mani
acidi per aurore boreali.

Nella testa ho un ragno secco
sta come i rami sugli alberi, a fare paura che paura
non fa. Ho due presine, quelle di casa,
mia madre le ripone sempre nell’angolo.
Là sono ancora.

Nei piedi le suole, il cappotto chiuso come
se non avesse scelta, lui, il corpo di
qualcun altro dentro al corpo mio
come una canzone.

La borsa è per terra, lo stomaco aperto,
il bidone svuotato. Penso di aprirla
come a tirare uno squarcio e tutti quei mostri
pronti liberi a uscire, gridare per aria prendere tutto
stracciare: ne escono un cappello un
cuscino, il paltò. Qui è ora di ritirarsi,
chiudere mani.
Andiamo a dormire.

Urb Act (1)

Pagine bianche, pagine gialle, massaggi con finale
di mano di bocca di cuore, fare la spesa
con un occhio alle offerte, parco centrale,
Le fronde sbattute gli studenti coi loro computer,
i tubi lungo i muri, autostrade,
autostazioni senza motori senza passioni,
Porte scorrevoli carrelli a comando
carte per mangiare quello che s’è digerito,
ruota, banco, semaforo. Ordinazione.
Il cielo è quello che vedono gli occhi
quando si aprono per andare a dormire.

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Interroga

Non ho forza di scrivere poesie davanti a uno specchio
davanti ai limiti ci vorrebbe una linea di fuga
non una poesia
ancora da scrivere, una canzone a cui mancano
accordi come capelli su un guscio,
il tuo tatto,
che non è stato programmato.

Davanti allo specchio
una faccia segnata dai
ripieghi, non riesco a smettere di
guardarla mentre
interroga, non un suono
né parola.

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Liberazione

Le hanno tagliato i capelli
è uno stato di necessità

la maglia a righe la sponda la frangia,
Alba, Corniolo e la
Linea Gotica,
uno stato di necessità.

Quattro bicchieri su un cucchiaino,
le ballerine consumate avvolte
distese coperte:
notti in piena, notti di Agosto.
Stato di necessità.

Intanto le ombre avanzano.
Salgono i boschi come insetti
la schiena del giorno, all’angolo
di un labbro una cava,
il posto di blocco un incavo,
la lettera sporta come un mento
esposto che dice,
Resistenza.

Il tuo collo tirato su fino
alle ciglia, la nebbia attorno
come una spiaggia.

Salmo,
accendino. Fuoco di montagna dopo
fare l’amore. Continuiamo a scappare
come fotogrammi messi male. Stato di necessità:
farsi venire le rughe
per orientare la guerra
scavando linee
su palmi di mano.

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la macchina

la cosa che mi scuce di più 
della donna che passa per strada
le scarpe grosse, la giacca-spalle-larghe
l’ombrello trascinato nel gioco dei capelli,
è la finestra, dove mi rifletto, la tazza, 
la mia ombra scomposta che si
incrosta su una macchia 
e viene attraversata da una macchina.



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