canzone d’amore (we came along this road)

In quale anfratto, in quale tenda, nell’incubo di quale
capitale: se i tuoi sogni hanno più livelli come
le torte alla spuma, come le mani di madre sulla farina
e il dente così dolce, tieniti al ferro che corre
lungo il cornicione autunnale, metallo di ruggine,
croissant a letto, progetto, vita di esame,
tieniti lì tendendo i tuoi muscoli e segui
il percorso che fa la spirale, nera, quando va giù
in discesa saltata, la testa recline,
i capelli distesi all’ingiù.

Se i tuoi sogni, pupilla, questi livelli li hanno,
se la mia mano è l’uomo del giorno, se posso correrti
incontro,
affonda dita come radici di un fiore pronto
ad abbracciare la terra e il suo sale, la luce
riflessa dagli occhiali del cielo sotto
cui camminiamo, i cerchi, gli anelli che
girano intorno al tuo collo, spingimi a te
mentre scendiamo
verso un altro livello.

verso l’uscita

37 fazzoletti ripiegati pronti all’uso
la pioggia li ha bagnati, i tuoi occhi li hanno aperti
e voltati, in questo giorno umido
con lo scaldino sempre aperto, a mangiare grissini
e cercare con le dita di aprirci di più, ancora
di più. Un occhio dalla fessura
ci chiede continuità, le tue labbra silenzio e
stabilità, il frigo di essere lasciato in pace,
io di essere preso in braccio,
le mura parlano ma sono incomprensibili versi
proiettati su un’altra piega di queste lenzuola. Fragola, tieni alta quella
testa. Il tempo ci è avverso ma noi ce lo
legheremo al polso e sarà così sempre nostro. Fragola,
continua con le tue dita. Alziamoci da qui
palleggiamo oltre, guadagniamo l’uscita con passi
felpati di ciabatta e teloni di plastica
come mantelli per due, a confondere la luce che
è un occhio smarrito dietro fessure mie e tue,
fili tra i sogni. Respiri che mi fermo ad ascoltare
mentre sei piegata, impasti, giri
tiri distendi, dormi.

Dono

I pullman con la circolare destra
i cigni
le scarpe col tacco,
le tre madame del Crai, quella coi baffi tozza che pesa la verdura
quella di Tavor che batte alla cassa
quella già morta aggrappata ai bancali di frutta e lampioni con la lingua all’insù, la bambina che canta
“funghi secchi”alla parete e ride, ride, la parete
sciolta come crema
dal cornetto al labbro
la torrefazione:
lo zucchero a velo della brioche sulle tue giovani
guance rosse.

Tutto in tensione.
Inerzia di
melograno.

Le sciarpe folli. I cani pisciati. I negozi di scatole e accessori per la casa
limpidi come il riflesso dell’acqua
dal tombino d’acciaio e d’acciuga ad Acrab, stella pungente,
riverso scorpione
che-si-auto-incula: i tasti che battono, gli appartamenti
vuoti i contratti le mani degli uomini che fanno i
tranci di pizza scollati – I muri! Il cemento! I libri: Le rotaie
del tram! Corone spinose poggiate
sulle tue giovani
spalle mosse.

Città.
Fili in tensione.
Grani pronti a schizzare: lì fermi
deposti, riflettono e tendono verso
di te come mani sospinte dal
vento il
loro colore.

Madeleine – last night here

l’ultima volta che ho ascoltato questa canzone
le mani sulla tua schiena, il sapone. Il vapore sulle tende
sui vestiti sugli armadietti stanchi. Scendiamo
alla Madeleine. Facciamolo
dallo schermo del mio computer, una stazione umida le
scale francesi, sto per partire. Lontano da voci nemiche.
Riverso ad affrontare, ancora una volta, il fu. L’unica
cosa che può farmi andare avanti in questo centro commerciale
è Curami Curami Curami Curami. Cura-mi.
Mani rigate.
Frette carrette carine-carette, sospinte.
Librerie, specchi, tappeti coperte
lampade per leggere libri al capitolo 1 appendini
lenzuola candele – la cura delle cartoline appese. Buttiamo via tutto, Gregory, ricominciamo
la testa alticcia, ancora un seme.
Oh, maledetta, solitaria, vai via. Vieni tu,
al suo posto, scendiamo alla Madeleine, al suo posto prendiamo
una casa e sognamoci dentro fino a farci uscire il sangue
dal naso, anti-posticci, anti-radici, legati
e legati a me.

Pareti di marmellata. Pareti venute via
come sfoglia.
Pareti indigeste pressate dentro a valigie che sono
il vuoto tra i secondi. Inesistenti.
Last night here. Una poesia. Le mie
labbra a cercare l’ultimo goccio di sperma
rimasto incastrato tra i
denti. Last night here, una poesia. Scendiamo alla Madeleine,
E se poi non ci scendiamo, Gregory, vaffanculo. Ci abbiamo
provato
uguale.

down out

io ti conosco, ti ho già vista, negli occhi di una tegola e del suo
cono d’ombra So chi sei,
sei la mano che mi “accende e mi spegne” lo spazzolone il cerone bianco
setolato del cesso.

portato sul palmo di mano da eventi casuali da parole dette da sensazioni opposte
sollevato oltre i ragionevoli limiti della tazzina da caffé
in cui dovrei stare, affogare, tirato su, oltre, fino a quando provi poi a
decidere scegliere – ma gli eventi non li puoi
controllare: è cosa da stronzi come mettere parole
in bocca
a un cane.

io ti conosco, ti ho già vista, muoverti nel vento sopra un’altalena
nel giardino qui accanto chinarti voltarti sorridermi di quei sorrisi
che fanno paura.

ma questa volta non me la fai, questa volta prevederò le tue mosse
e amerò senza la foga del bimbo che ho tra i polmoni e la
sua faccia paonazza immersa nel cono
gelato. Credimi, almeno tu, là fuori. Io ce l’ho in mano ora la vedo
la strozzo.

Titolo

la lingua salata su cui mi sono seduto ha un @ orizzontale
nomi capelli e braccia parlano lingue sconosciute
partenze.
come si leggono queste poesie queste giornate, gli alberi di mele,
gelosia come ciglia di chi non ha ciglia e invidia chi ha ciglia
fuoco e fiamme sulla biblioteca restata in piedi per caso dopo
la fuga.
un senso di smarrimento inseguendo un sentimento
racchiuso nei binari nei popoli nel vento e nel cemento della città
fatta di capelli di labbra di parentesi quadre e fiori
sui ponti
a marcire.
partire seguendo l’istinto abbandonando cercando
partire immaginando dita in gola l’incontro
roteare le proprie mani nell’aia di fortuna che il caso ha donato

sì!

(scendere a valle a primavera
per tornare in inverno).

aperture

pensiamo a uscire, e a proteggerci 
dagli spari della pioggia e dai maligni. Pensiamo
alle aperture improvvise
i contratti da rescindere
le valigie da preparare
i pacchi da spedire
lo spago con cui chiudere i capitoli e 
affogare le parole. 
pensiamo alle mollette appese al filo
che attraversa il giardino. al pesce rosso
nella pozza, alla finestra scardinata
pianta nell’angolo.
le maglie da piegare
i soldi e i sogni come granaglie
i giudizi da ignorare. 
la schiena che si volta per
continuare a ripartire
mentre il suo padrone fa l’equilibrista
sul suo umore di filo 
dentato, sdentato, spinoso,
scollato.

scrivi

la lingua incastrata sotto la pressa
del vocabolario 
della grammatica
la sfera piegata ad u come una lama
la mano che è un inutile arnese
quando si tratta
di fare il morto con la schiena all’insù
su fogli di carta 
bianchi come acqua salata.

TU!

Sei lì ferma inchiodata Madonna al mio letto,
fredda dentro
coperte andate e venute come amplessi nei reni,
le mani.

Mi guardi coi tuoi occhi e mi chiami amore
quando sudo e a volte sembri già pronta
a voltare la prossima pagina, come
una foglia: Scivolo via, io
scivolo via.
Tra i miei regali promesse programmi: tutte
paure, paure violacee
lividi di un uomo minore.

Oh, Cristo! Via da quello specchio,
e vieni da me, perchè

Tu,
sei tu.

Scendi a spalancare le labbra
come una pesca
che violenta di sangue e di giallo
uno schiaffo
uno strappo
lacero bacio di denti cattivi
il domani, perchè

Tu,
sei tu:

Prima che il tempo e i chilometri
rendano tutto
come quelle altre volte in cui hai detto: amore,
ti voglio bene,

prima che i fogli le lettere gli occhi
canzoni cartoline e pidocchi
lasagne
vasche da bagno
Serge Gaingsbourg
mutande condom
e ascelle
siano come tutte le altre volte in cui hai detto: amore,
ti voglio bene, ora,

Tu,
prendimi!

Prima di abbandonare le teste
come ami riversi nell’acqua
contro la corrente dei giorni passati
i giorni in cui
l’amore lo si faceva scappare come un cane
che non si aveva coraggio di toccare
per le pulci, e per quel suo odore straniero
di pioggia.

Tu, sei tu: bella
in tensione,
che non puoi non vibrare, fallo
con me.
Così.