La più bella di Francia ha i canini aguzzi
dita lunghe, la pelle oliva, mosto schiacciato dai tasti
del piano, la più bella di Francia fa peti soffici
su cuscini morbidi, e donne dalle mani grasse cuciono
in Romania i suoi vezzi Piacenza.
I merletti, si dispongono lungo la via, che porta a Nova Huta,
sono neri, grigi come le ciminiere
e la polvere, e i fili, e i panni stesi: Krumiri e macchine scure:
fabbriche e ceneri tenere, si dispongono a raggiera
sui suoi polsi quasi metallo.
Non c’è nulla dietro allo sguardo
o un’intelligenza accecante, oh, mia Provincia, o
chissà, grandi passi consumati ancor prima d’arrivare al fondo
della via, passerella, e delle luci, camera operatoria, fuori è finito tutti fuori:
l’applausometro è scassato, arrugginito,
giallo incrostato.
Malika, non mi consoli,
sei solo un’anteprima un antipasto un abbondante
aperitivo scadente, con tanto ghiaccio nel negroni
e gnocchi e pane. Vorrei da te una donna che
mi sappia guardare in faccia per due minuti senza
sbadigliare o volermi
scopare, ma sei ancora un verso, un’Ikea,
un’altra consolazione
à la Litz.