divano

mia madre sta sbattendo le pentole coi coperchi e io immagino quando, da bambino, mi divertivo a prendere le forchette e a iniziare a stridere con le tre (quattro?) punte nella parte concava degli stessi, l’interno, tra le righette sottili e lucenti dell’acciaio, quando per intenderci mia madre si alzava dalla sedia strillando FINISCILA! mentre lei ora è lì che più o meno fa la stessa cosa e io rimango immobile, senza dir nulla, sul Divano. Il tempo passa, penso, le relazioni di potere rimangono immobili come quei muriccioli che ogni tanto vedi in giro in campagna, che vedevi anche da bimbo, e che sembrano rimanere sempre lì. Sempre al loro posto. Scrostati.
Forse. Forse i muriccioli non sono sempre uguali e così fanno i rapporti di forza, quelli che vedi in giro sparsi per le campagne racchiuse tra il ferro da stiro e la sala. Il tappeto con improbabili tacchini e il telefono, bianco.
mio padre sta smontando tutto. ha preso la casa per un lego – e qual’è poi, in fondo, la differenza? ora tiriamo su delle pareti nuove intorno a noi e le costelliamo di preoccupazioni. le friggiamo con la birra, però, che così rimangono croccanti. sta spesso sul tetto, mio padre, e a me viene da pensare quando queste stanze erano ancora da costruire e io ero proprio pisichello e giravo con un gatto in mano, un micetto, chiedendo come si chiama come si chiama per il prato, quel prato che ora è di nuovo un cantiere. Mio padre invecchia e dimagrisce e la cosa più triste è che io me ne rendo conto. A volte lo vedo, non ora, che sono sul Divano. E lo vedo più scarno. E mi preoccupo.
Forse. Forse faccio poi solo bene, a preoccuparmi solo per me. Perchè è di quello che mi angoscio, la mia lenta sfuggita, il dipanarsi del legame, e chissà cos’altro. Chissà, forse è solo una paranoia, come quelle che ci sono la sera, quando hai finito di mangiare e la tavola è ancora apparecchiata, che non chiede più niente. Paranoie che rimangono nelle briciole di pane e nei riflessi colorati della tv nei bicchieri.
Gli occhi sono generalmente stanchi.
mia sorella forse dorme. sul Divano.
il mio cane è morto qualche anno fa. qui dietro.
proprio qui, sotto il balcone.
Forse, avrà pensato, è fatta. Ed è spirato. Ma mettere un pensiero in testa a un cane è proprio roba da stronzi.
E così il mio computer continua a scaldarmi le gambe, a Luglio, mentre ho la testa incassata e il Divano mi spinge ad andare sempre più giù. Se questi sono i giorni di transito migliori della mia vita, beh, signori miei, venite a cena questa sera che vi farò trovare il mio stomaco tritato e speziato, un purré come non mai, tanto per essere chiari. La tavola è pronta. La porta, smontata. Vi prego, entrate. Posa le pentole, ma. Scendi da là, padre. Sorella mia alzati e cammina.
Entrate ora.
Ho il vento in poppa e un’ombra nera, grandissima, che mi sovrasta.
Tutto è scuro.
Una testa grande come il mondo
e una solitudine
calda, che sa di vapore. Appena stirata.

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