Anche per scrivere, mi devo organizzare. Esistono programmi che permettono di definire i personaggi della storia a priori, i luoghi, le scene. Ne vengo attratto, li studio. Per ognuna di queste categorie viene richiesto di inserire un insieme di informazioni, come il ruolo nella storia; la descrizione; la personalità; la dimensione dello spazio; gli oggetti; e così via. Dividono in pagine quello che devi ancora scrivere e ti permettono di compilare campi che andranno poi a formare, rispettivamente, l’intestazione, la dedica, la dicitura sul diritto d’autore. Viene prevista anche una pagina bianca, quella formale, che va a inserirsi tra la dedica e il primo accenno di storia. Mi perdo nella compilazione dei campi. Il mio nome, cognome. Il titolo, ovviamente. Scegliere un titolo, di una storia ancora da scrivere, è ridicolo (semplice) (una bazzecola). Altra cosa sceglierlo per un manoscritto compiuto ma questa è, appunto, un’altra storia. Il titolo scelto è: eleven. Undici, per gli anglofoni, ed è un titolo ovvio – una parola, in inglese, il massimo della banalità – ma allo stesso tempo rassicurante, per chi scrive. Non vincola, non delimita. E poi è un bel numero, 11. Formalmente integro, anche misterioso, a piacere. Undici come… le strade che a raggio portano sulla piazza del Rossio, coi vecchi le panchine e i tram a girare intorno, il giallo e il verde delle palme, qualcuno che nel tardo pomeriggio già si avvicina alle serrande semichiuse che da lì a poco offriranno Ginjinha. Undici come… gli sguardi che si incrociano a una fermata di metro, di cui un paio al massimo valgono la pena di, sarà per i capelli corti, o, undici come le frasi incompiute che sfiorano le orecchie, alla stessa fermata di metro. Undici papi, undici crimini consequenziali ed efferati. Undici come… le ore del giorno che vale la pena lasciare semplicemente andare, senza darci poi troppo peso, sulla schiena, così, che ne arriva poi una che sembra come quando la carta si avvolge su sé a chiudere il pacco, precisamente, allinea la giornata per poi andarsene così come è arrivata. Il titolo dell’opera non scritta è aperto, lo è per forza, racchiude il potenziale di qualcosa che ancora non ha preso forma perché forma non ha.
Il programma permette anche di inserire la dedica, in un apposito campo, che andrà poi ad auto-compitarsi con gli altri nel momento della creazione del file finale, il libro, il tomo. Lo dedichiamo a, la madre, il padre. La compagna o il compagno, che hanno reso possibile il nostro scrivere supportando nei-momenti-in-cui. All’amico ritrovato, un nome inintelligibile ai più. A D., a C. Lo dedichiamo con una frase semplice che comunichi a tutti i lettori, o che arrivi solo agli intestatari, della dedica. Si possono compilare schede-personaggio. Queste sono un po’ più difficili. Nome: Ernesto. Età: Trentina a metà (scriviamo proprio così). Descrizione: (non sappiamo che dire. I caratteri fisici non sono ancora chiari. Diciamo solo) Uomo solo, mille progetti, vita intricata. Intravediamo qualcosa dietro alla nube ma non sappiamo ancora definire. In ogni caso, non compiliamo altre schede personaggio – sono difficili e, ci diciamo, uno basta, per ora, non è il caso.
Possiamo attribuire delle tag, brevi parole in codice per delineare una scena, un carattere, un’inflessione. Formattare un template che ci dica quante parole per ogni capitolo, quanti paragrafi, a capo, sillabe. (Ero più giovane e frequentavo l’Istituto di Ragioneria. Le letture erano un modo per fuggire dal raziocinio aberrante della partita doppia. Ricordo che mi dedicavo più che altro ai classici, non avendo risorse – intellettuali – per accedere ai contemporanei. In quel periodo si faceva un gran parlare, però, di questa giapponese, Banana Yoshimoto. Incuriosito andai a comprare un suo romanzo, Universale Economica Feltrinelli, quando avevano le copertine di cartone a listelle fini. Ecco: Banana Yoshimoto certamente aveva impostato la lunghezza d’ogni capitolo a priori. Erano tutti uguali. Tutti. Quattro pagine e mezza, cinque. Quello fu l’ultimo romanzo che lessi di Banana Yoshimoto. Leggendo una sua intervista scoprii, qualche tempo dopo, che le sue giornate erano razionalmente divise per numero di parole da scrivere, tot al mattino tot alla sera. Ricordo che chiusi la rivista pensando che quello era definitivamente l’ultimo romanzo che avrei letto della stessa). Si può decidere, infine, la tipologia di prodotto finale. Manoscritto (con apposito campo in cui inserire il nome del proprio Agente), paperback novel e, ovviamente, ebook. Quest’ultimo è particolarmente interessante perché permette di costruire il layout di copertina, immagine compresa. Il layout predispone il campo in cui inserire il titolo della propria opera. Noi, lo si è detto, abbiamo scelto eleven. Il pro-forma cita, testuali inglesi parole, “My great novel”.
Ora, il programma è settato. Abbiamo speso qualche ora e siamo piuttosto soddisfatti del risultato finale. Ce lo rigiriamo per mano: abbiamo un titolo (click), un personaggio (click), abbiamo una mezza idea di quanti capitoli (click), parole (click), dell’inflessione (click). Abbiamo una dedica (click) e una copertina (click). Salviamo una copia di backup che non si sa mai e apriamo il primo file, lo chiamiamo, Capitolo primo. Davanti a noi un foglio bianco latte digitale, sul lato sinistro il diagramma dei capitoli, su quello destro l’immagine di copertina, i personaggi, e uno spazio per inserire una descrizione. Fissiamo il bianco che è proprio abbacinante, e a guardarlo bene, ma dritto, fa quasi vomitare. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove – sono cinquantotto, in un minuto, i lampeggii della barra verticale che è l’unica cosa che per ora si muove. La guardiamo ancora un po’, il bianco, il vuoto. Siamo lì immobili e aspettiamo che qualcosa dentro di noi scatti e si inserisca alla perfezione nel meccanismo del programma che qualcun altro, per noi, si è curato di disegnare. Uscirà un romanzo stupendo, intitolato eleven, un fiume in piena di un solo personaggio complicato et complesso, una paperback novel che sarà (click) anche un ebook, con dedica criptica ma inevitabilmente uguale. Nella forma, in sostanza. Uguale a tutte le altre degli altri, come le storie, i personaggi, gli intrecci i diagrammi. Il nostro flusso è codificato. Ma noi di questo (siamo scrittori, siamo lettori) non ci possiamo curare e compitiamo un messaggio senza averlo immaginato.
(Nota finale.
Il programma per scrivere bene è il programma per sovvertire il programma per scrivere bene)