Partenze

1

Verso il declino si va,
con le lettere ribaltate negli occhi,
e i tasti ribattuti.

Verso il declino con le mani aperte
in pace con noi stessi,
per quel travaglio delle unghie,
dei giorni, e dei pulsanti (on/off).

Un declino in ascesa, quello delle partenze,
come le linee della tangenziale
di Torino,
e i suoi capannoni vuoti immensi
(le ciminiere, il vapore
sereno rasserenato
a coprire le spalle,
e vetri rotti).

Un declino che sembra una coperta
tirata su fino al collo, il tavolo della cucina spento,
un panno,

Un sipario d’inverno
tirato a abbracciare la notte.

 

A coprire

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(Dedicato a chi migra. Anche quando non ce la fa).

Il cd ha un riflesso che incrocia
la tua mano tesa
E acqua in gola.

É schizzato su all’impatto
e nel volo
si é girato e vi ha visti cosí,
A gambe perse,
Come fanno gli spiccioli.

Le scarpe pesanti
Che più gridi e più l’aria
ti immerge, che più spingi e più
Pezzi di legna
di acciaio di gente.
Pezzi di vetro
A guardare le onde.

E laggiù per un attimo ancora,
Nel freddo con le mani alla schiena,
Li hai visti tutti quanti nuotare,
Mentre il mare chiudeva
le labbra
e la barca violenta,
come un telo a coprire.

 

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Lui

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É sempre lo stesso, lui, così
confortante:
Una selezione (per modo di dire).
Un ragno sul muro da incollare e
scollare. Per far passare le paure.

Che gli uomini hanno paura di venire
troppo presto e le donne
di non venire affatto, la grazia rapita nei modi
bruschi e gli sguardi che si parlano solo
per malizie di caso,
e poi più.

E così ritorna a se stesso, lui, a rimettersi
nelle coperte e nei modi di poggiare
le braccia e le gambe,
Nelle prove generali che si fanno ogni notte
per il sonno più lungo che
sarà. (Con il beneficio del dubbio,
L’incubo).

Divaghiamo, per rendere quel che é solito meno
solido e poterci guardare attraverso,
con le paure di ogni abbruttito
essere umano e il piede
che tiene il tempo
facendo un vuoto
col pedale
del piano.

 

Mani nude

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Guardo la fine negli occhi nei denti bianchi
Nella samba-bossa nova, lei vecchia che sbava,
Una collana convessa ai concavi seni,
E tubini bianco crème fraîche,
Fresca la crema,

Fresca la carne
Fresca la moda
Fresca la fragilità di ossa magre
e solida Convinzione morale

La pornografia
delle mani nude.

Guardo la fine,
La vedo chiara immagine cosí volgare
E cosí viva-la vida,

nelle sue spalle
e sulla sua pelle
per spiagge piane, ma piane, che
per volerci camminare
saremo disposti
a lasciare tutti i segni
che non vorremmo
segnare.

 

My days

 

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I’m looking for
what I can’t write or sing, for
the impulse that is given,
the one not chosen
‘cause isn’t known,
An “ain’t nobody” à la Steinbeck
A void, à la Perec:

I’m looking for what I don’t know,
Although I know
what I’m looking for.

A dark room and a picking guitar
in my head, the air conditioning
foaming and its soul – the Karma-force
pledging the street,
and the giant bat-like shroud,
the dozing clitoris
and the “Leaves of Grass”:

The event of affect,
is what I’m looking for.

No pictures,
only sharp-cut movies.
And no names, neither you
or I.
Only something we oughta
but can’t imagine,
something to be shy of,
being excited by its wet
open-legs-cum-hair-
spider-like form.
–   It’s what I’m looking for.

 

 

 

Divenire

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Contenere, contendere, cantina, contare,
Cartina tornasole, gira lecca chiudi e
Fuma le parole,
Bacia le parole,
Sfiorale:
Sfonda le parole, sbattile.
Tienile da dietro,
la loro pelle,
il loro salvagente.
Piega le parole, segnale.
Mischia il bussolotto di cartoccio
e di cartone, Aprile:
sono in divenire.

Definire
è la morte prima
di ogni filosofia.

Ernesto Vol. 2 "Il racconto di Natale"

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Le tende rosse. E la pianura distesa bianca, di cippi e steli congelati. Ci sono macchine che passano, su queste provinciali delle terre di mezzo, e cascine ad attenderle come a segnare il tempo del viaggio e delle cose (altrui). Il cielo che pare anch’esso ghiacciato è immobile, come le cime dei rami eretti all’insù, e qualche sbuffo di comignolo in lontananza ma pochi; che le case sono poche, ancor meno le parole. Siamo di fronte a un anno memorabile che rimarrà impresso nella memoria per una serie di avvenimenti che a oggi possiamo solo elencare in confusione ma che, certamente, così dicono, lasceranno il segno nelle vite collettive e in quelle private; nei racconti che una generazione si fa prima di lasciarsi cancellare e in quelli che una famiglia si tramanda per non scomparire. Per iniziare, tirare le tende e sedersi alla scrivania, di fronte a un muro. Punto primo. La crisi economica fa visita a un numero crescente di famiglie, dove singole e singoli perdono il lavoro a causa di banche che non agevolano credito a imprese e a causa di imprese che hanno perso l’abitudine a investire. La crisi economica ha volti e nomi certi che si perdono nel marasma delle chiacchiere globale, mentre agenzie di indicizzazione declassano stati come dare caramelle a un bambino con la stessa autorevolezza con la quale dichiaravano ad-hoc gli strumenti delle finanziare da cui è partito il declino. Punto secondo. Affonda una nave bisonte perchè il cazzo c’ha sempre ragione e per la stessa ragione nei calendari lunari asiatici inizia l’anno del dragone (23 Gennaio). Punto terzo. Il 6 Febbraio Elisabetta II, regina del Regno Unito, d’Australia, e di un altro paio di mari e nefandezze simili festeggia il giubileo di diamante. Giubileo è derivato di jubel, parola ebraica per montone, nel senso di corno o di tromba, nel senso che il popolino ha bisogno (e non è una critica) sempre (ma un’affermazione) di un collante discorsivo e affettivo per veicolare quelle emozioni che il mercato non può ancora sublimare, anche quando il medium scelto veste discutibili cappellini giallo canarino. Punto quarto. Al mondo esistono paesi oscuri come lo Yemen – lo Y-e-m-e-n – paesi in cui nessuno si sognerebbe mai di andare a passare l’estate al mare o di imparare il nome dell’attuale presidente Abd Rabbuh Mansur Al-Hadi. La cosa che sorprende di più l’opinione pubblica occidentale è che in tali paesi ci siano donne uomini che facciano di base, mangiare, procreare, defecare e crepare, le loro stesse cose. Pausa.
Ernesto si alza e riflette la sua faccia, barba e ciglio spesso – una linea netto nero di mano – sul muro. Gli eventi posizionati con cura nella griglia muro-mentale scivolano sullo stucco e si confondono, sembrano le dita quando entri da quelle porte coi cosi-lunghi-appesi tenute aperte d’estate, che le dita sfiorano i cosi, i cosi entrano nelle dita, e poi se ne vanno così come sono venuti. E tu entri, nella casa fresca, mentre fuori fa caldo mentre ora fuori è tutto gelido e bianco, e i pensieri allineati sul muro si sfocano, e le tende rosse sono chiuse ma sarebbero da aprire un poco, per fare entrare un po’ di giorno e di luce. Ma no, restano chiuse, restano lì come Ernesto di fronte al muro. Punto quinto. Eclissi lunare. Sesto: Azawad e Kwangmyŏngsŏng-3 – che Ernesto sceglie in parte per i nomi, inutilmente buffi all’orecchio occidentale e in parte con coscienza di causa, credendo di far del bene. I due eventi sono collegati, ma non v’è apparenza. Sono entrambi grandi. L’uno è un deserto di capre rocce e capanne, e sale che entra dappertutto, liberato da un esercito ti liberazione, appunto. Dicono che combattesse, l’esercito, per arginare l’avanzata di al-Qaeda nel Paese (il Mali, il Paese) e poi, certamente – questo lo pensa il nostro – pure per altre ragioni che non andremo qui a indagare. L’altro è pugno rosso chiuso che si erge contro la volta del cielo, la volta blu scuro e le stelle messe là sembrerebbe a prendere in giro chi le sta a guardare, e ci trova forme e destini, sensi solo apparenti che di tutto un senso si deve fare (nota a margine del muro: Ridurre tutto a un senso, ecco il male!). Comunque, un razzo, nordcoreano, lanciato lì per lì e poi a picco, venuto, di scatto precoce: in mare. I due eventi – la conquista di un paese e il disegno di un nuovo confine, e l’affitto di uno spazio di cielo per rinvigorire il vigore fascista – hanno in comune potere, spazio, grandi aperture e il fatto, inequivocabile, d’essere compiuti in Aprile. Che Thomas dice essere, il mese più crudele. Settimo, le labbra bionde e gli occhi azzurri. I treni che viaggiano sulla linea Mombasa-Nairobi. E il caldo di una stanza che gocciolava ed era unta dalla zanzariera al pomello, una casa coloniale rimasta tale per il corso del tempo. Fare l’amore cercando un buco dal quale non si può entrare. Ottavo. Pausa.
Ernesto si alza esce dalla stanza ed è su un corridoio ballatoio col pavimento parquet. La casa è accogliente. Allunga una mano verso il termostato sul muro e mette “il manovale” – l’acqua in una caldaia posizionata altrove inizierà a confluire dentro le vene, i tubi, le pance tra un mattone e quell’altro e l’ambiente si-scalderà. Futuro participio e passato. Nono. Torna a sedersi. Quante volte l’ha fatto, quante, in un anno memorabile così, dalla tazza al girello del suo ufficio affittato, dal bordo al letto, dalla sedia del tavolo da cucina che si usa ormai solo per, slacciarsi allacciarsi le scarpe. Decimo. i-Cosi. Come i cosi delle porte d’estate gli i-cosi ti entrano nelle ossa e si incastrano ovunque soprattutto quando ti giri e porti in giro altre cose, oltre al tuo corpo. Ernesto pensa che ha i-cosi dentro ogni cosa ormai. Tutto è i-cosa. E le sue riflessioni sono destinate a epitaffi sgraziati in bit-bemolle, e le sue fantasie sessuali a valanghe di porno, ore di porno, anni di porno, gratuitamente disponibili sulla nuvola-rete. Dove gireranno questi porno è un mistero così come la pietra di fronte alla tomba del Signore e a quella di fronte al tesoro di Alī Bābā. Comunque, i-cosi, geo-localizzazioni, face-time, check-in e tag su ogni singola cellula del proprio ego sfrantato. Gli si apre l’occhio-si dilata la pupilla-nel semi buio della stanza-Ernesto ha un’illuminazione: Che messe su uno spartito, le cellule, si potrebbero anche suonare. Ablaye Cissoko lo guarda storto dalla sua collezione in vinile. Undicesimo. Il numero migliore. Dodicesimo. “Barack Obama si schiera a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, diventando il primo Presidente degli Stati Uniti d’America a dirsi favorevole a questo tipo di unione”. A questo tipo di unione, a questo tipo di unione, a questo tipo d’unione, a ‘sto tipo d’unione; Ernesto se le gira come l’anello al dito le parole. A ‘sto tipo d’unione. Tredicesimo: 天宫一号. Che si dice, Tiāngōng yīhào. Palazzo Celeste, 1: la prima stazione orbitante cinese, grande la Cina, e la prima donna astronauta ha 34 anni e ci sta dieci giorni sulla 天宫一号. Ernesto pensa a che ha fatto in quei giorni, più non ricorda. W l’Impero che tutto ci venderà o forse no, Ernesto è confuso – e questo per un incontro tra culture è il presupposto primo. Quattordicesimo, dicesi fumo. Lui ha smesso ma ha spesso voglia di fumo. Quindicesimo, stanco.
Stanco, stanco. Stanco. Si alza, lascia la stanza, ormai buia, il muro e le tende rosse. Prende le scale. Il nero è alle spalle e così, quasi rotolando, va verso il Presepe. Il Presepe (o Presepio, che deriva da Greppia, o Mangiatoia), è la rappresentazione delle natività di Gesù ma soprattutto un cibarsi, un partecipare. Lui ci si para davanti con quel suo testone nero, e s’aggrotta, si curva, cerca di entrare. Ci sarebbe molto altro da dire. Qualcuno che entra nel Presepio e inizia a sparare, tanto per citarne una, o l’eclissi totale di sole, o il fatto che la terra del Natale diventa stato osservatore alle Nazioni Unite mentre chi osserva si gira per non vedere i coloni rimuovere pecore e anfratti, capanne e comete, asini e buoi. Ernesto sbatte le ciglia. Stanco, troppo stanco. Non li vuole più vedere e più salvare articoli, informazioni. Più non vuole cose nel suo i-coso e nel suo corpo, che a malapena regge la pressione. Le vene si tendono, come luci di addobbo e mal costume. Prende la mano che scatta e sbram, via le colline. Prende il pugno che sferra e sbam, giù la capanna e l’angelo prende a volare. S’accascia a terra e guarda il paesaggio scassato. Incartapecorito. Quanta complessità in quest’anno memorabile di memorabilia fragili, che non ricorderemo più, che abbiamo immagazzinato il tempo di un battito di ciglia all’oblò. Pardon, Ernesto. Lo chiama una voce da dietro e gli dice, Pardon, Ernesto. Lui si gira e non v’è nessuno, niente scorge. La sala nella penombra e in mezzo alle gambe del tavolo il vuoto, altro rumore. Lui si gira e torna a guardare il Presepio che ora ha le luci accese, un po’ storte, un po’ così come viene. Il muro là in alto nella sua stanza è di nuovo bianco. Oltre le tende pure. E lui nella sua testa chiude gli occhi e si canta una canzone, che non ricorda il motivo e le parole, ma sembra piacergli perchè è qualcosa che non conosce e non ha bisogno di calcoli e comprensione.
Ernesto, Buon Natale. Nella tua solitudine egocentrica, per l’anno nuovo che ti è iniziato tra le dita prima di finire. Per questo unico momento in cui sei riuscito a tornare a sorprenderti, infine.

 

Come le gambe

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Accoccolati e dispersi,
a ricorrersi dietro un monito cellulare
come sulle piante a prendere il sole
e a riflettere
la luce e le ombre, le ombre e la luce,
in quei giorni che le querce dei
campi hanno le ciglia
trafitte dai raggi del sole,

su pianure ghiacciate
distese abbracciate, occhi rossi
e arancioni,
centinaia di paia di occhi
che guardano per un istante uno solo
tra i rami spogli e il
tronco
allineati e sospesi
guardano l’uomo,

non un uomo
non uno,

Dammi la mano,

un movimento lento si forma
la brina, e noi più vicini e
ancora più accoccolati invischiati
più sudati di prima,
il sole scende e l’occhio
scompare, compatta la pianura
gelida torna
al suo canto di industria
morta a espirare,
coni di alito sui treni
sfiancati
come le gambe, senza
controllore.

Au chocolat

 

Voglia di qualcosa
che rassomigli al piccolo mondo
antico, o alle parole che non dico ma suono
E a quelle che suonano sole negli oggetti che muoiono e
nelle lingue che non parliamo ma si aprono
Grazia di Grazie, Ingrédients:

120 g de chocolat noir
75 g de beurre
(demi-sel,

c’est toujours meilleur)

Meilleur,
Meilleur –

4 oeufs
90 g de farine
120 g de sucre
et un 1

sachet de levure

Basterebbe…
Qualcosa che sfugge, piccolo come
un sachet,

Uno spiffero micidiale
Da una finestra chiusa male,
In un Hotel trascinato
lungo 54th Avenue e il Parco Centrale.