Corpo di donna

Filippo mi ha girato il link di questo blog in cui si analizza l’uso del corpo femminile nella televisione, e nei media, italiani: http://www.ilcorpodelledonne.blogspot.com/
Il sito è fatto molto bene, con delle analisi per nulla banali.
Vi consiglio la visione del documentario prodotto dalle autrici del sito. Dura circa 25min e focalizza bene la questione, aprendo molti quesiti e rispondendo ad altri. Potete guardare il documentario qui: http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/index.html
(a volte scatta, ma dovete solo lasciar tempo allo stesso di ricaricarsi).

Crisi dimenticate

Anche quest’anno MSF (Medici senza frontiere) ha presentato il suo “rapporto sulle crisi dimenticate”. “Il rapporto comprende la “top ten” delle crisi umanitarie più gravi e ignorate dai media a livello internazionale nel 2008 – top ten compilata da Medici Senza Frontiere – e un’analisi realizzata dall’Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato dai principali telegiornali italiani alle crisi umanitarie nel 2008”.
E’ un documento importante, che fa luce non solo su quelle crisi, ma anche sui meccanismi della nostra informazione italica.
Potete saperne di più a questa pagina:

Altreconomia

Altreconomia: l’informazione per agire. Si chiama così questo mensile che offre da 10 anni esatti linee di fuga a valanga. Inchieste, altromercato, altroconsumo e soprattutto una montagna di idee e suggestioni per cambiare le proprie abitudini e attitudini di consumo verso la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente: “naturale” e umano.
Altreconomia non si trova in edicola ma in una serie di botteghe del commercio equo in tutta Italia. L’ideale è abbonarsi: 30 euro all’anno per undici numeri.
Qui il sito, con l’archivio: http://www.altreconomia.it/site/index.php
Buona lettura!

Cuba da dentro

Il mio carissimo compagno Marco mi propone un interessante blog di una giornalista e attivista cubana, Yoani Sánchez. Da wikipedia:
“Yoani Sánchez (L’Avana, 4 settembre 1975) è una giornalista cubana. Laureata in filologia nel 2000, alla Università della Avana. Nell’aprile del 2007 crea il blog Generación Y (che le ha dato rinomanza internazionale) dove pubblica regolarmente cronache di vita cubana, caratterizzate da un tono acutamente critico sul governo.
È una delle più influenti voci sulla realtà cubana. Il suo blog è scritto a Cuba ma l’accesso è bloccato agli abitanti dell’isola dalla censura ufficiale. Yoani Sánchez è spesso perseguitata dai mezzi di repressione ufficiali cubani.Le pagine del blog sono spesso vandalizzate, presumibilmente da incaricati del governo cubano con l’intento di screditare il lavoro della giornalista.
In Italia, i suoi articoli sono pubblicati dalla rivista Internazionale
Nell’aprile 2007, è stata pubblicata presso Rizzoli una raccolta di post del suo blog col titolo Cuba Libre – vivere e scrivere all’Avana”
Il blog lo conoscevo, ma l’avevo perso di vista. E devo dire che perdere di vista certe cose è un errore. Per cui, recupero e recuperiamo:

Biblioteca civica e civile

A Beinette, Cuneo, da qualche tempo è attiva una biblioteca che è certamente un buon esempio di come, dal basso, dal territorio, da casa nostra, sia possibile informarsi e fare cultura. Vi invito a esplorare il sito della biblioteca – progetto nato anche dalla testa di un mio caro amico, Lorenzo.
Che sia di spunto a quelli di noi che si chiedono sempre “ma cosa posso fare, io?”

Demolire il passato

Elena, un’amica di Filippo che studia in Cina, mi ha mandato delle fotografie molto interessanti per l’open album sulle città (vedi tra le foto del mio sito). Tra di esse c’è questa che riporto qui sopra, che raffigura due scritte che significano, in due lingue diverse, “demolizione”.
La storia è quella di demolizioni di antiche case lungo la via della seta, in Cina, per ricostruirle secondo i canoni del moderno turismo che ha ormai investito la zona. Un gran numero di famiglie è stato già spostato e molti altri seguiranno in futuro: tutto in nome di un turismo che è supposto essere “tradizionale”. Come mi scrive la stessa Elena:
“Le scritte sul muro sono due, ma hanno lo stesso significato, “demolire”; la prima scritta è in cinese, lingua ufficiale di tutta la Repubblica Popolare Cinese e quindi anche della Regione Autonoma del Xinjiang, dove si trova Kashgar: la seconda scritta è in uiguro, lingua madre della popolazione locale, che utilizza i caratteri arabi per la trascrizione. Il problema della demolizione degli antichi edifici è molto sentito e dibattuto qua in Cina, motivo per il quale ho scattato la foto. Dimenticavo una cosa essenziale…le scritte “demolizione” vengono dipinte sui muri degli edifici da demolire, è quindi usuale vedere, in molte città cinesi, moltissime di queste scritte ovunque. Mi ero abituata vivendo a Pechino ma…non mi aspettavo di trovarle anche a Kashgar così numerose”.
… E per capire fino in fondo di che si tratta, Elena mi ha girato anche questo interessante articolo. Buona lettura:
China demolishing ancient Silk Road city to replace it with tourist replica
Published Date: 29 May 2009
By Michael Wines in Kashgar
SOME 1,000 years ago, the northern and southern branches of the Silk Road converged at the oasis town of Kashgar near the edge of the Taklamakan Desert.
Traders from Delhi and Samarkand unloaded their pack horses here and sold saffron and lutes along the cramped streets. Chinese traders, their camels laden with silk and porcelain, did the same.
The traders are now joined by tourists exploring the alleys and mud-and-straw buildings once window-shopped, then sacked, by Tamerlane and Genghis Khan. Now, Kashgar is about to be sacked again.
Some 900 families have been moved from Kashgar’s Old City, “the best-preserved example of a traditional Islamic city to be found anywhere in central Asia,” as the architect and historian George Michell writes in the 2008 book Kashgar: Oasis City on China’s Old Silk Road.
Over the next few years, city officials say, they will demolish at least 85 per cent of the warren of picturesque, if run-down homes and shops. Many of its 13,000 families, Muslims from a Turkic ethnic group called the Uighurs, will be moved.
In its place will rise a new Old City, a mix of apartments, plazas, alleys widened into avenues and reproductions of ancient Islamic architecture “to preserve the Uighur culture”, said Kashgar deputy mayor Xu Jianrong.
Demolition is deemed an urgent necessity because an earthquake could strike soon, collapsing centuries-old buildings and killing thousands. “What government would not protect its citizens?” asked Mr Xu.
Critics fret about a different disaster. “From a cultural and historical perspective, this plan of theirs is stupid,” said Wu Lili, the managing director of the Beijing Cultural Protection Centre, a group devoted to historic preservation. “From the perspective of the locals, it’s cruel.”
Reconstruction during China’s long boom has razed many old city centres, including most of the ancient alleyways and courtyard homes of the capital, Beijing.
Kashgar, though, is not a typical Chinese city. Security officials consider it a breeding ground for a small but resilient movement of Uighur separatists, whom Beijing claims have ties to international jihadis.
So, redevelopment of the ancient centre of Islamic culture comes with a tinge of forced conformity. Mr Xu calls Kashgar “a prime example of rich cultural history and at the same time a major tourism city”. Yet the demolition plan would reduce to rubble Kashgar’s principal attraction for the million-plus people who visit each year.
China supports an international plan to designate major Silk Road landmarks as United Nations’ World Heritage sites – a powerful draw for tourists, and a major incentive for governments to preserve historic areas. But Kashgar is missing from the list of proposed sites.
One foreign official who refused to be identified for fear of damaging relations with Beijing said the Old City project had unusually strong backing high in the government.
The city says the Uighur residents have been consulted at every step of planning. Residents mostly say they are summoned to meetings at which eviction timetables and compensation sums are announced. “My family built this house 500 years ago,” Hajji, 56, said as his wife served tea inside their two-storey Old City house. “It was made of mud. It’s been improved, but there has been no change to the rooms.”
His wife said: “If we move to an apartment, every 50 or 70 years, that apartment is torn down again. This is the biggest problem in our lives. How can our children inherit an apartment?”

Gruppi acquisto solidale

Cosa sono i GAS (gruppi di acquisto solidale)?
Pochi di voi, certamente, ne sono all’oscuro. Però, però… è sempre meglio rinfrescare la mente.
La voce di Wikipedia fa al caso nostro:
“I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) sono gruppi di acquisto che partono da un approccio critico al consumo e che vogliono applicare il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti. I criteri che guidano la scelta dei fornitori (pur differenti da gruppo a gruppo) in genere sono all’insegna della qualità del prodotto, dell’impatto ambientale totale (prodotti locali, alimenti da agricoltura biologica od equivalenti, imballaggi a rendere)”.
La cosa più interessante dei GAS, soprattutto per chi vive in città (semplicemente perchè lì sono più presenti), è che permettono di mettere in atto la cosiddetta filiera “0km”, ovvero, in parole povere, “mangia quello che hai vicino a te evitando di distruggere il pianeta alimentando inutili trasporti”. I GAS sono presenti in tutte le principali città italiane. Un buon sito per iniziare a capirci qualcosa è il seguente: http://www.retegas.org/. In particolare è molto interessate questo motore di ricerca che permette di trovare i GAS già attivi nelle proprie città: http://www.retegas.org/index.php?module=pagesetter&tid=3 .
Non voglio predicar bene e razzolar male per cui appena rientrerò in Italia mi attiverò concretamente per far parte di questo movimento che è vitale: non solo per il nostro pianeta ma anche per la città in quanto “luogo di vita comune”.
Infine, un approfondimento sui GAS dalla mitica, unica, imprescindibile Milena: http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-8202936a-7c3d-46c6-a42e-6ab5b14e62c7.html (è una puntata intera dedicata all’alimentazione, in cui si parla anche di GAS).

Mappe in lettere

Da buon geografo non potevo non pubblicare questo link inviatomi da Claudia: http://www.mapsinliterature.it/
Si tratta di un interessante sito che offre una collezione di carte tratte dal mondo della letteratura, progetto di raccolta a cui è possibile dare il proprio contributo. Per usare le loro parole:
“The project Maps in Literature makes freely accessible to students and researchers a literary corpus of text quotations of maps ranging from the ancient classic world literature to the contemporary one. The project is meant as an open initiative and everyone interested in suggesting new quotations can contribute”
Utile per viaggiare con la mente, e non solo.

dig yourself lazarus dig yourself

Non ne posso più dell’odore del caffé del mio vicino di scrivania nell’ufficio cappa, afa di PC, caldo di una stella lontana a contatto con la mia atmosfera, quel suo vapore di caffé cileno, odio tutti i Cileni che se lo mettano in culo, chicco per chicco, quel loro caffé Fair Trade Rain Forest Alliance del mio enorme Dio caffé, il mio vicino e il sorriso e la cappa fumante. Non ha una tazza, non se la può permettere. Beve caffé in cup di cartone su cui c’è scritto, stai attento che le tue labbra rosee e la tua lingua maionese potrebbero scottarsi al contatto con, Ho vinto molti premi e non ne ho apprezzato neanche uno se non quelli con le tartine gratis e le segretarie con lo scollo a V e i capelli biondi che mi dicevano amiamo quello che scrivi e io, si.
Non ne posso più dell’uomo che mi dice di chiudere la porta del mio ufficio. Non ne posso più di questi album indie rock tutti uguali e di questi cantautori che non hanno più niente da dirmi e continuano a spillarmi soldi su emusic, non ne posso più delle mie maglie sempre troppo lunghe o troppo strette o troppo troppo, non ne posso più del mio gonfiore di stomaco, lo incontrassi per strada, maledetto stomaco, sarei più duro di Eastwood più serio di una canna di pistola nera fumante più gonfio di un tacchino graziato da G. W. nel giorno del ringraziamento. Che caca sul tappeto presidenziale. Diarrea tachinorum. Maledetti Cileni.
Non ne posso più di questa luce di merda a tempo che ho sopra la testa. Che ogni cinque minuti si spegne. E un giorno stai bene e un giorno stai male, affacciato alla finestra, che un giorno ti senti come l’istante dopo una sega, e il giorno dopo ti senti come quando te ne sei fatte troppe di seghe, ma le donne, le donne, come possono capire… per loro è come quando ti dice per la prima volta ti amo e quando te lo dice troppo, odio questa luce, che ogni volta che scrivo devo muovere la mia mano per aria, come un folle, in ufficio, per ri-attivarla ri-accenderla, voglio una ri-mozione di questa sensazione. Un agente pagato apposta per sostare ore all’angolo del malumore.
Non ne posso più. Di questi libri troppo lunghi. Di questi tutori che non ti seguono al di fuori delle barre rosse dei documenti, ecco dove stava mr K, tra le barre rosse dei documenti neri. Ed è andato fuori, beato lui fuori di sè. Non ne posso più e sto per scoppiare, e potrei fare come fanno alcuni che spaccano in due il pc di questa mia vicina di scrivania che ha un bel sorriso ma è tremendamente insicura, e glielo spaccherei in testa, il pc, lo schermo da una parte all’altra, e sarebbe ancora capace di chiedermi why. Non ne posso più dei why. Dei va bene ma. Dei è perfetto ma. Dei suoi stivali, in vacanza col bagnoschiuma pino silvestre che è ormai l’unica cosa che si silvestre è rimasta. Non ne posso più di vederlo passare e di non potergli parlare se non sotto appuntamento. Silvestre che puzza di merda di mucca pestata da uno zoccolo di un cavallo che l’unica corsa che ha fatto in vita sua è stata dalla fregna alla paglia. Cavalla.
Non ne posso più della mia necessità di organizzare.
Non ne posso più di quelli che sanno cos’è meglio per me e non capiscono quanto quanto quanto, loro credono sia semplice. Non ne posso più di me stesso, e ci arrivo senza pathos, ma non di me in quanto me, cervello, ma in quanto me che agisce, il perpetuum in me, non ne posso più del mio cellulare, d’esser reperibile, irrequieto, con un mare di idiosincrasie che è destinato, maledetto riscaldamento globale, solo ad aumentare. E Al Gore si ficchi il suo documentario nel,
Una pala. Solo una pala.
Datemene una che la rompo sulla schiena dei miei lacci. Datemene una che mi ricongiungo con la mia voglia di vivere, di metter la testa nell’origine del mondo per rotarla con occhi sbarrati, occhi in cui entra il liquido del mondo a vagonate, a vagonate, datemi una pala, voglio scavare una fossa per tutto quello che è e che sembra sarà, prendere a uno a uno i peli del mondo e bruciarli con quella puzza di pollo e, ancora, scavare, ricoprire, vagonate e vagonata – questa cazzo di luce che continua a spegnersi è insopportabile!
E’ tornato l’uomo a dirmi della porta.
Ma io non sono irrequieto di per me.
Sono solo non ne posso più e mi vedo prendere a badilate in testa le mie sinapsi, mi vedo di schiena, piegato sul mio cranio aperto col badile sferrare, zack, zack, lupo cattivo! Mi vedo e mi chiedo qualcosa che non ricordo già più.
Una cosa gialla, una cosa marrone.
Una cosa che puzza. Di pollo. Di caffé. Una cosa appiccicosa, che cosa, che cosa.
Dove voglio andare a parare senza perdere la mia ragione? Ma quale ragione! Fanculo a questa cazzo di Rain Alliance Forest delle mie palle piene di peli! Cileni del cazzo, se li prendo gli faccio poi vedere cosa vuol dire lavorare, cosa vuol dire sentirsi carico e pieno di responsabilità, cosa vuol dire giocare a fondo, ogni giorno, sudate carte e luce di stella percepita solo per afa, cosa vuol dire piegarsi, scavare, cosa vuol dire farlo Avendone Perso Ragione.

La parabola del PC in Italia

Questo titolo ha un doppio significato e va bene così.
A ridosso delle elezioni vi invito a leggere questo interessante articolo inviatomi da Filippo: http://www.lrb.co.uk/v31/n05/ande01_.html (Perry Anderson, professore alla UCLA).
Anche se non sono d’accordo con tutto quel che dice l’articolo (es: The PCI’s ability to polarise Italian intellectual life around itself, not only in a broad arc of scholars, writers, thinkers and artists but a general climate of progressive opinion, was without parallel elsewhere in Europe. – E Pasolini, che era sempre contro e a cui si dava sempre contro, dove lo mettiamo?) nonostante ciò, dicevo, l’articolo è interessante, soprattutto in tempo di elezioni.
Un bel passaggio del pezzo (uscito in Italia con l’Internazionale) è il momento in cui l’autore riporta alla nostra attenzione un concetto gramsciano chiave:
“The pursuit of political power, Gramsci had written, required two kinds of strategy, whose terms he took from military theory, a war of position and a war of manoeuvre: trench or siege warfare, as against mobile assault. The Russian Revolution had exemplified the second; a revolution in the West would, for a considerable period, require the former, before eventually passing over to the latter”.
Intendete rivoluzione come vi pare: ma una rivoluzione è necessaria, in Italia. Ma chi sta combattendo la guerra di posizione (per quella tattica direi che ora non c’è proprio speranza)? Domande che rimangono aperte e che lo rimarranno a lungo, a una settimana dal voto.
In sintesi, affrontante questa lettura che, tracciando la storia del PCI in Italia, fa in realtà ben altro: dimostra semplicemente come e perchè certe persone e certe fazioni, a sinistra, non si possono proprio votare, dato che hanno passato gli ultimi anni non a ostacolare il Cerone, ma a favorirne l’ascesa.
Postilla al Post: l’articolo fa cenni, tra l’altro, a Negri e Agamben… personaggi che in Italia sembrano essere stati rimossi ma che qui in UK riscuotono un certo successo. Niente di buono o cattivo in ciò… ma una ragione per riflettere sul perchè, quella sì.