“Le mots et les images”, Magritte
Perché il Movimento 5 Stelle é un partito e Beppe Grillo un Leader
Il Movimento Cinque Stelle é una cosa (antropologicamente) fantastica. Il punto più interessante é la modificazione del suo lessico e il lessico, o il discorso per dirla con Foucault, é veicolo di potere. Con questo non voglio affermare che il potere emanato dalla discorsività del Movimento sia “malvagio”, negativo, o pericoloso. Il potere é potere: di per sé, né buono né cattivo. Molto più semplicemente voglio sottolineare come il discorso si sia modificato, e sia stato adoperato, ad-hoc, per servire i fini politici del Movimento stesso. Due esempi relativi alle ultime giornate, che seguono l’ottimo risultato del Movimento alle Regionali siciliane.
Il Capo Politico
Primo, Grillo si definisce ora “capo politico”. Nel suo ultimo “comunicato politico”, Grillo dice:
io devo essere il capo politico di un movimento, però io voglio solo dirvi che il mio ruolo è quello di garante, di essere a garanzia di controllare, vedere chi entra, dobbiamo avere soglie di attenzione molto alte
Le auto-definizioni di Grillo sono mutate al mutare della popolarità del Movimento. Che il Movimento fosse un soggetto politico era chiaro fin dal principio: se Politica (politikós) è occuparsi della cosa pubblica, le 5 Stelle sono state e saranno sempre un soggetto politico (nella sua ambivalenza: soggetto che agisce in politica, e soggetto alle regole della politica). Il Movimento si é però sempre smarcato da questa definizione, stando soprattutto attento a non definirsi mai “partito”. E in questo fare, Grillo è stato ovviamente centrale. Ma chi è Grillo nel Movimento? A partire dal lancio dello stesso, il 4 Ottobre 2009 – ma a ben vedere ancor prima, dal suo “Comunicato politico numero uno” – Grillo si auto-definisce al massimo “ispiratore” del Movimento: mai fondatore, mai guida, mai tantomeno “capo”. In particolare Grillo è sempre stato contrario alla locuzione “Leader”. Un suo famoso post al riguardo è quello in cui negativizza al massimo il termine “Leader”, con una pratica semiologica di base: associa alla parole una sfera di idee, e di nozioni, che la vanno a definire quasi univocamente in termini negativi (leggi il post in questione). Il Leader è Mussolini (o Mubarak, Gheddafi, Ben Alí) e quindi il Leader é cattivo: Beppe Grillo no, Beppe Grillo é diverso e quindi non é Leader. Ma può un movimento politico sussistere senza un Leader?
Per costituire la propria identità politica il Movimento ha dovuto costituire anche il proprio linguaggio specifico, visto che la politica é esercizio di potere, e il potere, come si è detto, è in primis un discorso: non “Leader” ma “Movimento in rete”. Il Movimento stesso é però costretto dai fatti a fare i conti con la terminologia che ha lui stesso introdotto. La sua espansione; la crescente complessità della sua organizzazione; l’occupazione di posti chiave nella macchina amministrativa; etc. sono tutte pratiche che richiedono una divisione dei compiti, un crescendo di gerarchie, l’emergere di figure-guida a scale diverse e con compiti diversi. Inconsciamente, Grillo e il Movimento sono forzati a riconoscere che una qualunque organizzazione politica deve avere per forza di cose, per il fatto stesso che é un’organizzazione, un Leader. Non é una scelta, quella di averlo o non averlo: ma un effetto inevitabile di un essersi fatto gruppo dove le funzioni vengono distribuite, i compiti assegnati, e le regole stabilite (il tutto, per lo più, all’interno di un preciso schema istituzionale che, volente o nolente, Grillo deve ancora seguire). Grillo non può definirsi Leader perché ha costruito il Movimento intorno a una differenza semantica da lui stesso creata (il Leader é cattivo, noi non abbiamo Leader e, quindi, siamo buoni), ma allo stesso tempo non può evitare di auto-definirsi capo: perché la natura stessa della sua organizzazione glielo impone. Ma c’è una vera differenza tra “Leader” e “Capo politico”? Leader, etimologicamente parlando, è colui che organizza, che guida, e che sta davanti (“to lead“). E Grillo fa esattamente questo: organizza (“Vedere chi entra”) e guida (decidendo, ad esempio, le regole del gioco su chi possa candidarsi e chi no – vedi il Comunicato politico numero cinquantatré). Il suo ruolo di “garante” é, in realtà, la “garanzia” che il Movimento ha una Guida, un Capo, un Leader. È la garanzia, in definitiva, che il Movimento possa effettivamente sussistere come organizzazione politica.
Le parole del potere
Purtroppo il Movimento non fa la cosa più semplice che potrebbe fare per uscire dall’ambiguità, ovvero auto-definirsi partito e scegliersi un leader. Anzi, fa esattamente – ma “solo” a parole – il contrario. Una scelta politica anche questa, che per essere mantenuta porta al secondo punto di questa discussione.
Con l’avvicinarsi delle politiche nazionali il Movimento si appropria sempre più di un particolare utilizzo del linguaggio, essendo consapevole del potere che esso veicola. La sezione milanese del Movimento ha diramato un’email a tutti i maggiori quotidiani nazionali chiedendo che vengano utilizzate certe parole, e non altre, nel definire il (o parlare del) Movimento stesso. Il sito del Corriere ha pubblicato un’immagine a bassissima risoluzione raffigurante questa email, che si può in ogni caso leggere sufficientemente bene (per scaricare l’immagine clicca qui). La mail é il perfetto esempio di quanto discusso fino ad ora: il Movimento “alla luce dell’enorme cambiamento proposto” invita i giornalisti a “evitare parole che non appartengono alla realtà del Movimento“. Tra queste parole vi sono ovviamente “partito” e “Leader“, che vengono definite come “pertinenti alla politica tradizionale“. Ma il Movimento, ed é questo il punto, fa politica tradizionale. Il Movimento è politica tradizionale perché si inserisce in uno schema istituzionale imprescindibile. La sua organizzazione interna è diversa da quella del PD, così come quella di questo ultimo differisce dal PDL, etc. ma sempre di organizzazione politica si tratta. La novità va però definita in qualche modo. Grillo e il Movimento devono smarcarsi e lo fanno, in primis, nel regno del discorso dove il loro potere politico si forgia. Nulla di male in ció: ma neanche nulla di diverso rispetto a quello che abbiamo già visto nella formazione dei primi partiti politici, dalla Rivoluzione Industriale in avanti.
La questione
Tirando le fila, il Movimento non può che avere – uno o più – Leader(s). L’unica espressione politica che non ha Leader é l’Anarchia, per il semplice fatto che non si organizza in gerarchie, non é interessata a veicolare il suo potere attraverso l’Istituzione, né tantomeno partecipa al gioco con le regole del gioco (i.e. elezioni). Ma il Movimento é un’altra cosa, una cosa molto diversa dall’Anarchia. Sottolineare questo punto assume importanza nel momento in cui si valuta il Movimento. Se lo si valuta in base alle presunte differenze che questo ha nei confronti dei più classici partiti, si incappa in un errore fondamentale: perché quelle sono differenze costituite ad-hoc dal Movimento stesso. Niente di male in tutto ciò, é politica. Il Movimento é quindi un gruppo con un Leader, e possibilmente più di uno, che rispetto agli altri partiti differisce nei tecnicismi dell’organizzazione, ma non nel fatto di essere organizzazione politica. Le 5 Stelle vanno valutate quindi nella prova del fare, nella loro pratica politica. Lì, e sono lì, potremo valutare se la loro proposta sia realmente diversa dalle altre. Ma la retorica di questo partito va analizzata come quella di tutti gli altri, per non rimanere abbagliati da differenze che non esistono in realtà, differenze che possono confondere e ammaliare i più.