Ernesto Vol. 2 "Il racconto di Natale"

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Le tende rosse. E la pianura distesa bianca, di cippi e steli congelati. Ci sono macchine che passano, su queste provinciali delle terre di mezzo, e cascine ad attenderle come a segnare il tempo del viaggio e delle cose (altrui). Il cielo che pare anch’esso ghiacciato è immobile, come le cime dei rami eretti all’insù, e qualche sbuffo di comignolo in lontananza ma pochi; che le case sono poche, ancor meno le parole. Siamo di fronte a un anno memorabile che rimarrà impresso nella memoria per una serie di avvenimenti che a oggi possiamo solo elencare in confusione ma che, certamente, così dicono, lasceranno il segno nelle vite collettive e in quelle private; nei racconti che una generazione si fa prima di lasciarsi cancellare e in quelli che una famiglia si tramanda per non scomparire. Per iniziare, tirare le tende e sedersi alla scrivania, di fronte a un muro. Punto primo. La crisi economica fa visita a un numero crescente di famiglie, dove singole e singoli perdono il lavoro a causa di banche che non agevolano credito a imprese e a causa di imprese che hanno perso l’abitudine a investire. La crisi economica ha volti e nomi certi che si perdono nel marasma delle chiacchiere globale, mentre agenzie di indicizzazione declassano stati come dare caramelle a un bambino con la stessa autorevolezza con la quale dichiaravano ad-hoc gli strumenti delle finanziare da cui è partito il declino. Punto secondo. Affonda una nave bisonte perchè il cazzo c’ha sempre ragione e per la stessa ragione nei calendari lunari asiatici inizia l’anno del dragone (23 Gennaio). Punto terzo. Il 6 Febbraio Elisabetta II, regina del Regno Unito, d’Australia, e di un altro paio di mari e nefandezze simili festeggia il giubileo di diamante. Giubileo è derivato di jubel, parola ebraica per montone, nel senso di corno o di tromba, nel senso che il popolino ha bisogno (e non è una critica) sempre (ma un’affermazione) di un collante discorsivo e affettivo per veicolare quelle emozioni che il mercato non può ancora sublimare, anche quando il medium scelto veste discutibili cappellini giallo canarino. Punto quarto. Al mondo esistono paesi oscuri come lo Yemen – lo Y-e-m-e-n – paesi in cui nessuno si sognerebbe mai di andare a passare l’estate al mare o di imparare il nome dell’attuale presidente Abd Rabbuh Mansur Al-Hadi. La cosa che sorprende di più l’opinione pubblica occidentale è che in tali paesi ci siano donne uomini che facciano di base, mangiare, procreare, defecare e crepare, le loro stesse cose. Pausa.
Ernesto si alza e riflette la sua faccia, barba e ciglio spesso – una linea netto nero di mano – sul muro. Gli eventi posizionati con cura nella griglia muro-mentale scivolano sullo stucco e si confondono, sembrano le dita quando entri da quelle porte coi cosi-lunghi-appesi tenute aperte d’estate, che le dita sfiorano i cosi, i cosi entrano nelle dita, e poi se ne vanno così come sono venuti. E tu entri, nella casa fresca, mentre fuori fa caldo mentre ora fuori è tutto gelido e bianco, e i pensieri allineati sul muro si sfocano, e le tende rosse sono chiuse ma sarebbero da aprire un poco, per fare entrare un po’ di giorno e di luce. Ma no, restano chiuse, restano lì come Ernesto di fronte al muro. Punto quinto. Eclissi lunare. Sesto: Azawad e Kwangmyŏngsŏng-3 – che Ernesto sceglie in parte per i nomi, inutilmente buffi all’orecchio occidentale e in parte con coscienza di causa, credendo di far del bene. I due eventi sono collegati, ma non v’è apparenza. Sono entrambi grandi. L’uno è un deserto di capre rocce e capanne, e sale che entra dappertutto, liberato da un esercito ti liberazione, appunto. Dicono che combattesse, l’esercito, per arginare l’avanzata di al-Qaeda nel Paese (il Mali, il Paese) e poi, certamente – questo lo pensa il nostro – pure per altre ragioni che non andremo qui a indagare. L’altro è pugno rosso chiuso che si erge contro la volta del cielo, la volta blu scuro e le stelle messe là sembrerebbe a prendere in giro chi le sta a guardare, e ci trova forme e destini, sensi solo apparenti che di tutto un senso si deve fare (nota a margine del muro: Ridurre tutto a un senso, ecco il male!). Comunque, un razzo, nordcoreano, lanciato lì per lì e poi a picco, venuto, di scatto precoce: in mare. I due eventi – la conquista di un paese e il disegno di un nuovo confine, e l’affitto di uno spazio di cielo per rinvigorire il vigore fascista – hanno in comune potere, spazio, grandi aperture e il fatto, inequivocabile, d’essere compiuti in Aprile. Che Thomas dice essere, il mese più crudele. Settimo, le labbra bionde e gli occhi azzurri. I treni che viaggiano sulla linea Mombasa-Nairobi. E il caldo di una stanza che gocciolava ed era unta dalla zanzariera al pomello, una casa coloniale rimasta tale per il corso del tempo. Fare l’amore cercando un buco dal quale non si può entrare. Ottavo. Pausa.
Ernesto si alza esce dalla stanza ed è su un corridoio ballatoio col pavimento parquet. La casa è accogliente. Allunga una mano verso il termostato sul muro e mette “il manovale” – l’acqua in una caldaia posizionata altrove inizierà a confluire dentro le vene, i tubi, le pance tra un mattone e quell’altro e l’ambiente si-scalderà. Futuro participio e passato. Nono. Torna a sedersi. Quante volte l’ha fatto, quante, in un anno memorabile così, dalla tazza al girello del suo ufficio affittato, dal bordo al letto, dalla sedia del tavolo da cucina che si usa ormai solo per, slacciarsi allacciarsi le scarpe. Decimo. i-Cosi. Come i cosi delle porte d’estate gli i-cosi ti entrano nelle ossa e si incastrano ovunque soprattutto quando ti giri e porti in giro altre cose, oltre al tuo corpo. Ernesto pensa che ha i-cosi dentro ogni cosa ormai. Tutto è i-cosa. E le sue riflessioni sono destinate a epitaffi sgraziati in bit-bemolle, e le sue fantasie sessuali a valanghe di porno, ore di porno, anni di porno, gratuitamente disponibili sulla nuvola-rete. Dove gireranno questi porno è un mistero così come la pietra di fronte alla tomba del Signore e a quella di fronte al tesoro di Alī Bābā. Comunque, i-cosi, geo-localizzazioni, face-time, check-in e tag su ogni singola cellula del proprio ego sfrantato. Gli si apre l’occhio-si dilata la pupilla-nel semi buio della stanza-Ernesto ha un’illuminazione: Che messe su uno spartito, le cellule, si potrebbero anche suonare. Ablaye Cissoko lo guarda storto dalla sua collezione in vinile. Undicesimo. Il numero migliore. Dodicesimo. “Barack Obama si schiera a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, diventando il primo Presidente degli Stati Uniti d’America a dirsi favorevole a questo tipo di unione”. A questo tipo di unione, a questo tipo di unione, a questo tipo d’unione, a ‘sto tipo d’unione; Ernesto se le gira come l’anello al dito le parole. A ‘sto tipo d’unione. Tredicesimo: 天宫一号. Che si dice, Tiāngōng yīhào. Palazzo Celeste, 1: la prima stazione orbitante cinese, grande la Cina, e la prima donna astronauta ha 34 anni e ci sta dieci giorni sulla 天宫一号. Ernesto pensa a che ha fatto in quei giorni, più non ricorda. W l’Impero che tutto ci venderà o forse no, Ernesto è confuso – e questo per un incontro tra culture è il presupposto primo. Quattordicesimo, dicesi fumo. Lui ha smesso ma ha spesso voglia di fumo. Quindicesimo, stanco.
Stanco, stanco. Stanco. Si alza, lascia la stanza, ormai buia, il muro e le tende rosse. Prende le scale. Il nero è alle spalle e così, quasi rotolando, va verso il Presepe. Il Presepe (o Presepio, che deriva da Greppia, o Mangiatoia), è la rappresentazione delle natività di Gesù ma soprattutto un cibarsi, un partecipare. Lui ci si para davanti con quel suo testone nero, e s’aggrotta, si curva, cerca di entrare. Ci sarebbe molto altro da dire. Qualcuno che entra nel Presepio e inizia a sparare, tanto per citarne una, o l’eclissi totale di sole, o il fatto che la terra del Natale diventa stato osservatore alle Nazioni Unite mentre chi osserva si gira per non vedere i coloni rimuovere pecore e anfratti, capanne e comete, asini e buoi. Ernesto sbatte le ciglia. Stanco, troppo stanco. Non li vuole più vedere e più salvare articoli, informazioni. Più non vuole cose nel suo i-coso e nel suo corpo, che a malapena regge la pressione. Le vene si tendono, come luci di addobbo e mal costume. Prende la mano che scatta e sbram, via le colline. Prende il pugno che sferra e sbam, giù la capanna e l’angelo prende a volare. S’accascia a terra e guarda il paesaggio scassato. Incartapecorito. Quanta complessità in quest’anno memorabile di memorabilia fragili, che non ricorderemo più, che abbiamo immagazzinato il tempo di un battito di ciglia all’oblò. Pardon, Ernesto. Lo chiama una voce da dietro e gli dice, Pardon, Ernesto. Lui si gira e non v’è nessuno, niente scorge. La sala nella penombra e in mezzo alle gambe del tavolo il vuoto, altro rumore. Lui si gira e torna a guardare il Presepio che ora ha le luci accese, un po’ storte, un po’ così come viene. Il muro là in alto nella sua stanza è di nuovo bianco. Oltre le tende pure. E lui nella sua testa chiude gli occhi e si canta una canzone, che non ricorda il motivo e le parole, ma sembra piacergli perchè è qualcosa che non conosce e non ha bisogno di calcoli e comprensione.
Ernesto, Buon Natale. Nella tua solitudine egocentrica, per l’anno nuovo che ti è iniziato tra le dita prima di finire. Per questo unico momento in cui sei riuscito a tornare a sorprenderti, infine.