My video response to the Los Angeles Department ‘Walk the Talk’ Skid Row archive project

In the collective imaginary – but also in much detrimental journalistic and scholarly ‘work’ – #SkidRow in #LosAngeles is presented only as a place of neglect and despair. Yet, as bell hooks taught us, margins are never just a place of annihilation but can become sites of embodied mundane resistance against structural, often racialised, violence. These embodiments do not speak only of being ‘resilient’, but challenge the conditions of their formations.

Some years ago, I was lucky enough to encounter the people at the Los Angeles Poverty Department. With their work cutting across performative arts and grounded #housingactivism, they provide a quintessential community resource for residents in Skid Row. One of their initiatives is called ‘Walk the Talk’, and it consists of a biannual parade of local performers – a moment of celebration for many men and women in the community.

Now an impressive multi-media archive gives all of us access to 68 performers talking about life, #homelessness, #radicalhousing, #resistance. This is genuinely one of the most powerful archives around ‘homelessness’, and everything that goes with it, which I ever had the pleasure to excavate and enjoy.

I am honoured I was invited to respond to its creation along with a number of other people. You can check the Archive and the available responses here: https://app.reduct.video/lapd/walk-the-talk/#/responses

If you want to know more about the Los Angeles Poverty Department, and in particular about the Archive project, check https://lapovertydept.org/walk-the-talk-2020-5-23/

Thanks to the wonderful John Malpede, Henriëtte Brouwers and Clancey Cornell, and to Skid Row residents and performers for having me.

Worlds of Homelessness street magazine, with AOWC and Goethe LA

It is a great privilege for me to be part of this publication by the Goethe-Institut Los Angeles & Arts of the Working Class with so many friends coming out of the #WorldsofHomelessness event that took place last year in LA.

Essays by Ananya Roy, the LA Poverty Department & activists fighting homelessness all over the world. My two cents focus on ‘reentering the politics of home’.

PDF free: https://www.goethe.de/…/awc_extrablatt5_255x350mm_lay101.pdf

US_New York/LA

Diciamo pure che ci sono cresciuto con questa divisione, East e West coast. L’HH, certo. Biggie e 2Pac, certo. (Anche se, devo dire, a me hanno sempre ispirato di piu’ i rapper di Atlanta e Chicago, ma questa e’ un’altra storia, un altro viaggio). Arrivare a New York dall’Australia e’ fare ventidue ore di viaggio – e’ rimanere piacevolmente sorpresi, che si e’ un po’ a casa. NY europea. Per uno che manca un po’ dall’Europa e vive in mezzo ai canguri si’, c’e’ quell’aria. Su verso West Upper Side, accanto a Central Park, siamo in una zona residenziale di Parigi. Harlem e’ un budello barcellonese, Greenwich e Soho un revanchist-chic-fighetto che c’e’ anche a Torino. A NY tutto insieme pero’, e ancora di piu’ – Brooklyn non ha paragoni, o non ne vengono a mente. Il Bronx si estende su un’area che e’ grande come la Svizzera, credo, sento, pare. E sembra quello che e’, edilizia residenziale, dove se vai oltre ai mattoni rossi trovi i neri seduti al parco a prendere il sole, quelli che vanno a lavorare. Il predicatore. La vecchia culona. Che sei nel Bronx te ne accorgi anche dai bancomat, che improvvisamente ti restituiscono banconote di piccolo taglio – il cinquanta qui si usa poco, a che serve? La pizza al taglio di Harlem. Wall Street, Coney Island la HighLine. Tutti ambienti di newyork, che un po’ conosci, inevitabilmente. Perche’ a girare per questa citta’ ti sembra di sentire alle spalle Spike Lee che ti dice-motore, azione; di vedere De Niro al volante di un taxi, di incontrare una Sally qualunque persa in qualche semi-loft a lower Manhattan. L’ho sentita famigliare, NY. Sara’ per i colori, sara’ per Starbucks, sara’ perche’ in fondo il caotico regime del sali scendi dalla metropolitana grigia fa al caso mio, sara’ che i numeri bianchi su sfondo nero rassicurano, mi fanno stare bene. E poi certo, c’e’ Ground Zero. Con accanto un antico cimitero con le tombe e le muffe che guardano in faccia alla Freedom Tower. E i camion dei pompieri. Le luci, i riflessi – ecco, si’, i riflessi.

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Ma di America, a NY, poca. Quell’America un po’ Eastwoodiana un po’ Apple Store, poca. L’altra costa offre spunti in questo senso. E poi ti chiedi perche’ i rapper della West coast facevano quel tipo di HH: ma e’ il sole! Matematico come l’equazione che regge i 4/4. Immensa Los Angeles. L’aereo ci passa su, e continua, continua, continua, sotto luci a non finire e dispersione vastissima, questa si’ una regione, una megalopoli senza un centro, senza Il Centro, senza una metro degna di questo nome, solo autobus, grandi anche loro, e strade – larghe, piatte, aperte. Ma questo dall’aereo non lo sai. Speri ancora in una bussola. Ma Los Angeles ti spiazza, se arrivi da canoni citta’ romanica, o da feeling post-moderno NY. Semplicemente sei li’, in mezzo a una strada e intorno a te ci sono vialoni che corrono verso l’orizzonte e case basse, e pompe di benzina, e sole, e cartelloni pubblicitari sopra, dentro, sotto. Le pompe di benzina, comunque. Sono le pompe di benzina che fanno LA. Chandler, maledetto, tu lo sapevi. Ma soprattutto tu, Bukowski, me lo avevi detto! Mi avevi gia’ detto tutto. A LA ho compreso la tua BMW nera, ho compreso tanto di quello che hai scritto – il senso di molecolare di trovarsi li’ dentro, la birra e i magazzini, il non-sense di Hollywood e la dispersione della Downtown. Bukowski, cazzo!! La barba bianca della prostituta messicana. Los Angeles cambia ancor piu’ nettamente di NY. Puoi stare ore, l’ho fatto, ore a camminare su un singolo boulevard (Lincoln, es.). Puoi startene chiudo in Motel di strada, andare in the fashion district coi messicani, stare piantato in mezzo a Downtown e proprio non sapere dove andare, come orientare. O spostarti a Venice. Ecco, adesso ragioniamo, hippies e artisti e cannaioli, tutti insieme. La spiaggia a due metri. Le reti da pallavolo. I canestri. Le capanne-baywatch. Cammini per un po’ e tutta questa gente raggruppata in un solo posto non ti sembra neanche LA, ma e’ LA, LA non e’ solo un’infinita provinciale ma c’e’. E c’e’ certamente tanto altro, il tempo di non vederlo.

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Il tempo di tornare qui, Oceania, una settimana dopo. Ancora confuso. Sempre di più. Fare una fatica grande a scrivere mezzo paragrafo. Transizioni, dicono. Vibrazioni, sentono. Paure. Uscire di strada? Ma i vialoni di LA sono grandi abbastanza, mi possono contenere, me li faccio tutti e casco in mezzo all’oceano. Pronto a tornarci. Viriamo – ancora.

Faremo di meglio. Pare.