Google 10^100

L’anno scorso ho partecipato alla chiamata di Google: proporre un progetto che, se finanziato da Google (per 2 milioni di euro), potrà essere concretamente posto in essere da organizzazioni internazionali ad hoc.
Il mio progetto riguardava l’istruzione – un sito web dove, gratuitamente e per tutti, vengano pubblicati corsi di livello accademico da ricercatori delle varie parti del mondo. Lo chiamai OSU – Open Source University: http://www.alexgonella.com/projects/osu.html
Oggi è arrivato il momento di votare. La mia idea, simile probabilmente a quella di molti altri, è stata presa in considerazione sotto il titolo “Rendere disponibili sul Web risorse educative, gratuitamente”, gruppo istruzione. Qui la pagina con tutte le idee che si possono votare: http://www.project10tothe100.com/intl/IT/vote.html
Sceglietene una e votate: fatelo, non capita tutti i giorni di avere chiamate globali di questo genere!

Alexei

Non so cos’ho visto.
Forse, solo una macchina da té. E le porte scrostate di legno compensato. Al limite, la tua sigaretta. O le parole, provocate senza mai lasciare un silenzio un vuoto – a me troppo affini, facili e fallaci – da tua madre. O da quell’angelo di ragazza.
La cenere che veniva via come crosta di torta, la ruota d’una sedia su cui si è condensata la preoccupazione, l’ansia, di tuo fratello. Io non so cos’ho visto, Alexei del Can Can. Delle grandi terre, delle vie comuni, di un campetto di provincia torinese. Non so: ricordo solo notti insonni e l’odore del College: plastica e legno di moka.
Potrei scriverne, ora, di noi. Di noi in quell’attimo alla porta, sulla terrazza a pezzi dell’ospedale più grande e migliore, come l’angoscia. Potrei, ma non ne so, e fa un male tremendo, e me ne vergogno. Oh, Alexei: non ho un Dio, pensaci tu – che forse non puoi, ma almeno ti ho visto, ridotto così, e so che ci sei.
Ripeto, non so cos’ho visto, non lo so. E me ne vado, di nuovo.
Portandomi dentro lo spazio tra i tasti che premo
o poco
più.

Buonanotte Fernanda

Io non ho mai conosciuto Fernanda Pivano, lei non ha mai conosciuto me. Ma ci siamo sempre incrociati.
Nelle sue traduzioni, che mi hanno aperto un mondo, piccolo sedici-diciottenne che non studiava la lezione ma le sue pagine, nelle sue fotografie, nelle sue interviste e nei suoi libri – che ancora ne ho, da leggere.
Nel rumore generale, rumore d’altro, rumore di spari e di cosce al vento, di colori plastificati e dita rugose tirate al limite del tempo, nel rumore che ha sommerso anche la sua fine, Fernanda Pivano se n’è andata.
E’ stata una specie di nonna di carta, per me.
Ha rappresentato, per anni, il simbolo della femminilità che più si confà al mio essere uomo: sola, libera, indipendente, una vera e propria Leave of Grass al vento.
Ricordo ancora un suo volume, che rubai alla Fiera del Libro. Pagine grandi, fotografie enormi di lei, una sigaretta, Ferlinghetti, Ginsberg, Burroughs, Corso e le loro micidiali Bombe, e i loro Howl, e i loro fendenti alla mia mente de-cattolicizzata.
I suoi racconti sulla California.
Le sue battaglie civili.
Quel retro di copertina, 33 giri, di Non al denaro, non all’amore, nè al cielo: un’intervista semplice e ammirata, ammirevole.
Se ne va, nel rumore generale, rumore che l’ha sommersa, questa grande donna, non italiana, non europea, ma di Pace.
E io qui le lascio questo pensiero, con le parole d’uno che lei ha tradotto e come me, forse amato.
Where are Elmer, Herman, Bert, Tom and Charley,
The weak of will, the strong of arm, the clown, the boozer, the fighter?
All, all are sleeping on the hill.

One passed in a fever,
One was burned in a mine,
One was killed in a brawl,
One died in a jail,
One fell from a bridge toiling for children and wife-
All, all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.

Where are Ella, Kate, Mag, Lizzie and Edith,
The tender heart, the simple soul, the loud, the proud, the happy one?–
All, all are sleeping on the hill.

One died in shameful child-birth,
One of a thwarted love,
One at the hands of a brute in a brothel,
One of a broken pride, in the search for heart’s desire;
One after life in far-away London and Paris
Was brought to her little space by Ella and Kate and Mag–
All, all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.

Where are Uncle Isaac and Aunt Emily,
And old Towny Kincaid and Sevigne Houghton,
And Major Walker who had talked With venerable men of the revolution?–
All, all are sleeping on the hill.

They brought them dead sons from the war,
And daughters whom life had crushed,
And their children fatherless, crying–
All, all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.
Where is Old Fiddler Jones
Who played with life all his ninety years,
Braving the sleet with bared breast,
Drinking, rioting, thinking neither of wife nor kin,
Nor gold, nor love, nor heaven?
Lo! he babbles of the fish-frys of long ago,
Of the horse-races of long ago at Clary’s Grove,
Of what Abe Lincoln said
One time at Springfield.
(E.Lee Master)
Ciao, Fernanda!
ps: mi riprometto di farti conoscere, per quel che posso, per quello che indubbiamente ti è dovuto.

Baby Lex

Forse c’entra poco… ma è pur sempre una linea di fuga. Pima una poesia, semplice, perciò bella…
In Winter I get up at night
And dress by yellow candle light.
In Summer, quite the other way,
I have to go to bed by day.
I have to go to bed and see
The birds still hopping on the tree,
Or hear the grown-up people’s feet
Still going past me in the street.
And does it not seem hard to you,
When all the sky is clear and blue,
And I should like so much to play,
To have to go to bed by day?
(R. L. Stevenson)
E poi un gran video. Buon Agosto!

cose che non mi appartengono

A un passo dal collasso, ernia ietale, troppi tortini di riso alla tavola familiare e vino bianco, a un passo dall’implosione torno a stendermi su queste lastre di bit made in china but disegnati in California, dove c’è sole e denaro e muscoli governatori. Gran culi, tra l’altro, o almeno così ci hanno sempre fatto credere, e viva Iddio – proprio lui! – credere è tutto.
Riaprendo per un momento alcuni strumenti di distruzione di massa quali skype o similar patacche, ho letto degli status, ovvero degli stimoli defecanti espressi attraverso le sopra lastre, da persone che conosco o meno, ma che in qualche modo sono a me connesse. Entusiaste, eh! Per ragioni che non mi appartengono.
La cena indiana che sta per essere preparata a casa propria.
La prossima partenza per il brasile.
Le mani giunte e un cavo per IPhone perso e ricercato, quindi.
“Ogni tanto mi risveglio e mi domando, ma in tutto questo – cosa c’entro io?” (N. Fabi).
Sono cose che non mi appartengono.
E non perchè, banalità, non sono da me in prima persona vissute. La conquista del palazzo d’hiver mi appartiene, che diamine, eccome. Sono cose che non mi appartengono, non sono nel mio universo di possibilità espressive, emozionali, punto. Ecco la questione: leggo e vedo universi paralleli, e neppur simili. Vere e proprie altre dimensioni coi loro gas e le loro stelle e tutte le possibili combinazioni chimiche, unite e non, collimano e collassano.
Sono lì a un passo a un occhio a un numero da me. Ma quanta distanza.
E quanta rabbia.
Inespressa, anche in queste parole, che assumono la stessa dimensione delle stesse contro le quali si riversano, argomentano e schiantano. Cioè, in breve, avrei bisogno di slacciarmi da questi universi di persone che si parlano addosso. Questo sito non lo legge nessuno e io sto benissimo proprio così.
Diamine.
Che contraddizione.
E’ precisamente sentire che c’è qualcosa che prude, che provoca un fastidio continuo e tenace, e sapere, essere consci, che quella cosa è la stessa cosa che produciamo ogni giorno – ma si disgiunge da noi. Intendiamoci: la merda del cane, o il suo bau, non sono il cane. Ecco: è il cane che odia la merda e la produce, io che odio questa persona che aspetta gente a cena e me lo fa sapere, e poi pubblico, defeco, dei miei bisogni.
Sono lacci.
A ventidue anni scrissi:
Nella carne ho nervi che fremono
muscoli tesi
fiumi di latte bollente
fili su fili al vento, fili di salice
che frustano l’aria,
nel sangue ho un giogo di lacci,
sono batterie e chitarre distorte,
traffico, code interminabili,
impiegate saccenti ignoranti,
donne che ti guardano con occhi di gatta
puttane.
Nel sangue rosso e grumoso vi sono
pietre aguzze- una spiaggia
di bianca sabbia,
nel mare un polipo assassino,
il computer impazzito,
gente che ti assilla dalla prima ora del giorno /
sento i muscoli fremere,
ho una gran voglia
di spaccare la faccia di gomma del mondo
e poi piangere, piangere,
annacquare il gelo
della mia spiaggia
esistenza.
Ne ho ventisei.
E così, “Ogni tanto mi risveglio e mi domando, ma in tutto questo – cosa c’entro io?” (N. Fabi).
Ho bisogno di una svolta. Lo dico solo questa volta.

New York Days

Un disco Jazz, gran Jazz, che restituisce un’immagine di New York dai bassifondi di vapore acqueo e notte, fari di auto silenziose e tombini semiaperti.
Un gran disco, forse non estivo, ma che importa? Rava, Bollani, Turner, Grenadier, Motian… gente per tutte le stagioni: “New York Days”. Una recensione, qui.

Viva Costa Coffee and Starbucks!

Vivendo in UK mi sono abituato a bere caffé che non sanno di nulla ma sono molto ben serviti et presentati, panini tutti uguali da Heatrow alla più perfida stazione di periferia, crisps unte e bisunte presentate in pacchetti ultracolorati e accattivanti.
Non è certo una novità che questi cibi non fanno proprio bene alla salute – ed è forse anche per questo che quasi 3 inglesi su 5 soffrono di obesità.
In questo articolo della BBC vi è un inquadramento della questione, centrata sui caffé: per quelli di voi che ancora non conoscono il problema e che magari si stanno apprestando a una trasferta inglese / http://news.bbc.co.uk/2/hi/health/8168142.stm

Migranti no choice

Nel solo 2007 più di 30.000 tra somali ed etiopi hanno cercato di attraversare il Golfo di Aden, per arrivare nello Yemen, in fuga da guerra e povertà.
I numeri non sono l’unica cosa a far riflettere: le rotte di quello che per certi aspetti è un vero e proprio traffico di uomini, le loro storie, il contesto in cui tutto questo avviene… sono altrettanti paurosi aspetti di queste migrazioni di massa che non trovano spazio sui nostri quotidiani.
Vi propongo un bel report di MsF, intitolato eloquentemente “No choice”, sul tema:
“Thousands of Somalis and Ethiopians risk their lives every year to cross the Gulf of Aden to escape from conflict and extreme poverty. The trip is fraught with danger as people are exposed to violence from the smugglers and receive little assistance upon their arrival in Yemen.
In its report, “No Choice”, MSF has documented the conditions of the perilous journey and calls for increased assistance for the thousands of refugees, asylum seekers and migrants fleeing their home countries”.
Per scaricare, e far girare, questo report, cliccate: qui.