gran guadagno


qualcuno più intelligente di me è
andato a correre. col suo giubbetto giallo e le
scarpe mimetiche, va su e giù per questa pianura di
lingue, anguille d’asfalto e cippi romani,
fiori negli angoli più bui e odore di fango, umido,
nel naso. lui sta smaltendo, loro,
con i rispettivi compagni, di letto e di ventura,
riescono a reggersi ai cordoni del ponte
che oscilla
e qualcuno
che meno ti aspetti
lo butta giù
senza deprimersi. Tagliano e mangiano briciole
con le dita, dal tavolo. A me basta un pensiero,

uno solo,
e sono a terra, sulle ginocchia, jeans sulla pelle matura
ancora graffia, come gengiva che perde
alimentando insenature di lingua.
Scorre bene, riempie i letti, fa onde
di vita salata.
I pali della luce, là fuori, sono ben piantati e pieni
d’acqua, loro.
Trasportano 10,000 volt e
non sanno di essere bombe
e potenziali infarti,
e crack mal tagliato, e strilli
e colpi epilettici,
emboli lussureggianti…
e finchè sarà così, Un Gran Guadagno:
ci sarà sempre qualcuno più leggero
meno idiota al palato, di me. Continueranno a correre
tenendosi per mano o da soli
scatarrando, non gustando,
chiazze rosse,
sulla linea bianca fragile
del confine.

consolazione in re bemolle


La più bella di Francia ha i canini aguzzi

dita lunghe, la pelle oliva, mosto schiacciato dai tasti
del piano, la più bella di Francia fa peti soffici
su cuscini morbidi, e donne dalle mani grasse cuciono
in Romania i suoi vezzi Piacenza.
I merletti, si dispongono lungo la via, che porta a Nova Huta,
sono neri, grigi come le ciminiere
e la polvere, e i fili, e i panni stesi: Krumiri e macchine scure:
fabbriche e ceneri tenere, si dispongono a raggiera
sui suoi polsi quasi metallo.
Non c’è nulla dietro allo sguardo
o un’intelligenza accecante, oh, mia Provincia, o
chissà, grandi passi consumati ancor prima d’arrivare al fondo
della via, passerella, e delle luci, camera operatoria, fuori è finito tutti fuori:
l’applausometro è scassato, arrugginito,
giallo incrostato.
Malika, non mi consoli,
sei solo un’anteprima un antipasto un abbondante
aperitivo scadente, con tanto ghiaccio nel negroni
e gnocchi e pane. Vorrei da te una donna che
mi sappia guardare in faccia per due minuti senza
sbadigliare o volermi
scopare, ma sei ancora un verso, un’Ikea,
un’altra consolazione
à la Litz.

giorni

i giorni che ho calcolato, i giorni che ho digitato

quelli che ho passato su facebook
le cartoline sul divano, a piegare i vestiti, le
sbornie sul ciotolato, i giorni come domeniche
che siamo così spaesati senza
profitti, tutti quei momenti in cui si andava a dormire troppo
in là, per alzarsi troppo presto, i giorni
così, i giorni della pancia gonfia, potevo passarli
a chiederti come, a farti dire,
a tirarti la coperta
a costruirmi un ricordo. Sai, come le presine, o
i guanti. Come uno scaffale,
una collezione.
Quei giorni di pasta e di carta, di beige e di blu,
sono tubature intasate, caloriferi
spenti, finestre aperte con le tegole a scendere,
brividi sotto pelle che indietro
ci si guarda
ma nulla più.

Incontro al Collegio Einaudi con una autrice torinese

Ecco un’iniziativa interessante – non di certo perchè ci sono coinvolto io, ci mancherebbe. Eh!

La lettura, e gli scrittori, valgono sempre la pena. Soprattutto in questo periodo da Bianco Natale padano: culturalmente nero pece.

INVITO

Il Collegio Universitario Einaudi di Torino

inaugura il ciclo di incontri

TI PRESENTO UN AUTORE

Ospite MARGHERITA OGGERO con Risveglio a Parigi

MERCOLEDÍ 2 DICEMBRE 2009, ore 18.00

Biblioteca Centrale del Collegio Einaudi – Via Maria Vittoria, 39

Inaugura la rassegna Margherita Oggero, col suo ultimo romanzo Risveglio a Parigi, accompagnata nelle letture da alcuni studenti e disponibile a rispondere a tutte le domande del pubblico. Moderatore dell’incontro: Michele Lancione, ex allievo del Collegio, vincitore di diversi premi letterari e dottorando presso la Durham University – Newcastle.

Ingresso libero.

Seguirà Rinfresco

Ciao Alda

Prima Fernanda, poi Alda. Due figure diverse, ma che donne…
Un ricordo da (e per) questa Poetessa. Terra Santa, dal suo volume post-manicomio, “La Terra Santa”. Ciao, Alda.
Terra Santa
Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch’io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c’era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.
Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso la messe,
la messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.
Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E dopo, quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.
Ma un giorno da dentro l’avello
anch’io mi sono ridestata
e anch’io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all’inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.
[Da “La Terra Santa”, 1984]

la piana

Ci sono volte in cui penso di esser solo, in questa piana.

Ci sono volte in cui ti penso
e guardo fuori dalla finestra,
con lo sguardo appoggiato alle mani, e ci sono macchine,
strade di campagna con i furgoncini gialli che vanno su e giù,
elettricisti al lavoro, con la loro barbetta sfatta, i pali della luce –
fermi, immobili – piantati come cazzi tra
pioppi e rimasugli di querce…
La piana, l’Europa che fu.
Puzza di sterco di gallina, di concime,
che cagano chimico
ormai, acume nel naso e nel polmone.
Ed è una piana larghissima, lunga, immensa proprio
perchè piatta, schiacciata su di sè, tre volte, col suo freddo, anche oggi, che freme
su per la spina,
è una piana di cascine, terra bagnata
stivali e muratori e agricoltori e
avvocati,
e balere in legno, e dio-solo-sa-
Ipermercati!
Ti lascia senza fiato per la sua cacca
di gallina, bruttezza infinita. Pace, però, tra spari di caccia
e cani nei boschi,
anche quella.
A volte mi sento solo,
e penso di esserlo.
Vorrei unirmi a questa terra, qui fuori, abbandonare il resto
con le mani in pasta, le unghie nere
ricurve
e dense marroni, affondate,
piegate anch’esse
tre volte,
poi delle voci mi destano
le tue parole per mail, piombate per caso assoluto nel framezzo
di questa mattina
si assottigliano, brillano, e fendono,
dritto
verso il mio cuore.
E guardo ancora dalla finestra, ed è tutto piatto come prima,
i van e le cascine, pioppi e pali-di-luce,
la cacca concime,
ma io sto
un po’ meglio, di prima.

illness

Ci sono una cassa e un rullante che girano sui 4/4, in genere sui 98bpm, è hip hop che ti entra proprio dentro, in circolo, che se non sei cresciuto in provincia, in ghetto o in periferia proprio non puoi capire. Non ce n’è.
A volte torna, dentro di me, da un pezzo ascoltato ormai sempre più tecnologicamente, digitalmente, a volte resta lì sopito per mesi interi. Come la voglia di scrivere su questo blog, la voglia di prendere in mano una penna in generale. E poi, tutto d’un tratto, ricompare.
A volte mi chiedo: sarà mica solo come una sega? Come il momento dopo la sega, che sei pronto a incidere il disco migliore del mondo, a scrivere un capolavoro di letteratura, a fare una ricerca rivoluzionaria… A volte mi chiedo: ma sarà mica che la mia vita si sta riducendo pian piano tutta al momento dopo la sega? Me lo chiedo, e mica mi dò una risposta. Che risposta posso dare? Semplicemente, ascolto una cosa in 4/4, che gira sui 98bpm, e mi sento nuovamente giovane forte e sicuro della meta da perseguire: è incredibile quanto fossi certo, da adolescente – quanta poca coscienza avessi, d’altro canto, della complessità di questo mio essere carne tra uomini, macchine e progetti quotidiani.
Mi sento, però, appunto, a tratti, ancora così giovane. Forse è solo un momento dopo una sega, forse no, forse la routine me lo sta appiattendo, in questa mia vita che in molti considerano pure allettante interessante affascinante e che io considero sempre più banalmente… stancante. Ante, Ante, Adelante Adelante. Andare, andare: Adelante! Eh! Facile da cantare, mio tesoro de Gregori.
Così mi trovo a vedere in altri passi che ho già fatto. E a vedere in altri ancora passi che non vorrei fare, vite che non vorrei vivere. E in me, a scorgere solo una indefinita confusione, a metà tra la sega – emozionalmente dirrompente, appunto – e la staticità in movimento di un percorso tracciato e, se non così tristemente ben chiaro come tanti, quantomeno piuttosto delineato. E sto lì, guardo questo trittico, e mi dico: ma cos’è questa cosa qui? Informe! Delirio!
Sai, mio caro blog, io dovrei fare una cosa sola: scappare due mesi in montagna, scrivere il romanzo della mia vita, far uscire queste anime, lasciarle andare. Solo questo dovrei fare, solo questo, uscire dagli schemi che mi sto autoimponendo
dalle email
dal cellulare nuovo
da te, dal senso di colpa per le persone che non riesco a vedere
dal lavoro
Scrivo:
Ah,
Saggezza.
Sei proprio una troia:
ti pago, e non fai che dirmi
che è ora
di andare.
Sarà una malattia del mio tempo: sono scoordinato, ma, ancora per un po’, continuerò a credere in un mio grande cambiamento.

Slate

C’è questo bel sito americano, di approfondimento sulle informazioni che ci capitano sotto mano ogni giorno – mi è stato consigliato da un amico un po’ di tempo fa, e in questo tempo ho imparato ad apprezzarlo, ed ora ve lo giro.
Buona “Ardesia” – “Lavagna” – Slate, a tutti: http://www.slate.com/

Curve nella piana

Ho fatto questo piccolo video.
Lo dedico a un amico che ora è in una fondazione, nella collina torinese, e dovrà lottare ancora a lungo.
Ma non è solo.
Lo dedico a nome mio e degli altri che gli sono vicino.
Ci saranno ancora curve, A. Tante, sempre: oltre ogni ostacolo.
E questa sì, che è una linea di fuga!
ps: il canale you tube di Alex Gonella è: http://www.youtube.com/michelelancione