della tua fisionomia

I tuoi confini non sono confini sono
terre straniere guardate a piè-spinto, frontiere:
i cori di ambulanze che tagliano in due paesi che sanno
di umido e pioppi, le piante bagnate,
raffreddate, i cani a blaterare sotto i coppi che la luna,
lei, abbraccia col suo alito enormemente giallo,
quel tuo viso,
così bambino fragile capriccioso
che si nasconde dietro le ante che sono fobie
e foibe, in cui ti getti a peso morto nei pomeriggi allungati alla spina e
chi-si-è-visto-si-è-visto, 
ma afferra: 
che ci sono altre
frontiere,
margini di miglioramento, 
frontiere in cui
ci alziamo, usciamo dai cassetti
pieghiamo gli armadi. Barcollando a dovere
nudi a dirigersi, andiamo, con le dita a
riempire i solchi del giorno, a unire i puntini dei buchi
lasciati sui muri,
mentre per fare colazione lasceremo le finestre 
spalancate a cerchi espansi di sole che
entreranno
roteeranno,
che sfioreranno 
le mie gambe una 
e una, 
e andranno poi a cadere su te come anelli
a vestire l’acquerello dolce 
della tua 
fisionomia.

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