dig yourself lazarus dig yourself

Non ne posso più dell’odore del caffé del mio vicino di scrivania nell’ufficio cappa, afa di PC, caldo di una stella lontana a contatto con la mia atmosfera, quel suo vapore di caffé cileno, odio tutti i Cileni che se lo mettano in culo, chicco per chicco, quel loro caffé Fair Trade Rain Forest Alliance del mio enorme Dio caffé, il mio vicino e il sorriso e la cappa fumante. Non ha una tazza, non se la può permettere. Beve caffé in cup di cartone su cui c’è scritto, stai attento che le tue labbra rosee e la tua lingua maionese potrebbero scottarsi al contatto con, Ho vinto molti premi e non ne ho apprezzato neanche uno se non quelli con le tartine gratis e le segretarie con lo scollo a V e i capelli biondi che mi dicevano amiamo quello che scrivi e io, si.
Non ne posso più dell’uomo che mi dice di chiudere la porta del mio ufficio. Non ne posso più di questi album indie rock tutti uguali e di questi cantautori che non hanno più niente da dirmi e continuano a spillarmi soldi su emusic, non ne posso più delle mie maglie sempre troppo lunghe o troppo strette o troppo troppo, non ne posso più del mio gonfiore di stomaco, lo incontrassi per strada, maledetto stomaco, sarei più duro di Eastwood più serio di una canna di pistola nera fumante più gonfio di un tacchino graziato da G. W. nel giorno del ringraziamento. Che caca sul tappeto presidenziale. Diarrea tachinorum. Maledetti Cileni.
Non ne posso più di questa luce di merda a tempo che ho sopra la testa. Che ogni cinque minuti si spegne. E un giorno stai bene e un giorno stai male, affacciato alla finestra, che un giorno ti senti come l’istante dopo una sega, e il giorno dopo ti senti come quando te ne sei fatte troppe di seghe, ma le donne, le donne, come possono capire… per loro è come quando ti dice per la prima volta ti amo e quando te lo dice troppo, odio questa luce, che ogni volta che scrivo devo muovere la mia mano per aria, come un folle, in ufficio, per ri-attivarla ri-accenderla, voglio una ri-mozione di questa sensazione. Un agente pagato apposta per sostare ore all’angolo del malumore.
Non ne posso più. Di questi libri troppo lunghi. Di questi tutori che non ti seguono al di fuori delle barre rosse dei documenti, ecco dove stava mr K, tra le barre rosse dei documenti neri. Ed è andato fuori, beato lui fuori di sè. Non ne posso più e sto per scoppiare, e potrei fare come fanno alcuni che spaccano in due il pc di questa mia vicina di scrivania che ha un bel sorriso ma è tremendamente insicura, e glielo spaccherei in testa, il pc, lo schermo da una parte all’altra, e sarebbe ancora capace di chiedermi why. Non ne posso più dei why. Dei va bene ma. Dei è perfetto ma. Dei suoi stivali, in vacanza col bagnoschiuma pino silvestre che è ormai l’unica cosa che si silvestre è rimasta. Non ne posso più di vederlo passare e di non potergli parlare se non sotto appuntamento. Silvestre che puzza di merda di mucca pestata da uno zoccolo di un cavallo che l’unica corsa che ha fatto in vita sua è stata dalla fregna alla paglia. Cavalla.
Non ne posso più della mia necessità di organizzare.
Non ne posso più di quelli che sanno cos’è meglio per me e non capiscono quanto quanto quanto, loro credono sia semplice. Non ne posso più di me stesso, e ci arrivo senza pathos, ma non di me in quanto me, cervello, ma in quanto me che agisce, il perpetuum in me, non ne posso più del mio cellulare, d’esser reperibile, irrequieto, con un mare di idiosincrasie che è destinato, maledetto riscaldamento globale, solo ad aumentare. E Al Gore si ficchi il suo documentario nel,
Una pala. Solo una pala.
Datemene una che la rompo sulla schiena dei miei lacci. Datemene una che mi ricongiungo con la mia voglia di vivere, di metter la testa nell’origine del mondo per rotarla con occhi sbarrati, occhi in cui entra il liquido del mondo a vagonate, a vagonate, datemi una pala, voglio scavare una fossa per tutto quello che è e che sembra sarà, prendere a uno a uno i peli del mondo e bruciarli con quella puzza di pollo e, ancora, scavare, ricoprire, vagonate e vagonata – questa cazzo di luce che continua a spegnersi è insopportabile!
E’ tornato l’uomo a dirmi della porta.
Ma io non sono irrequieto di per me.
Sono solo non ne posso più e mi vedo prendere a badilate in testa le mie sinapsi, mi vedo di schiena, piegato sul mio cranio aperto col badile sferrare, zack, zack, lupo cattivo! Mi vedo e mi chiedo qualcosa che non ricordo già più.
Una cosa gialla, una cosa marrone.
Una cosa che puzza. Di pollo. Di caffé. Una cosa appiccicosa, che cosa, che cosa.
Dove voglio andare a parare senza perdere la mia ragione? Ma quale ragione! Fanculo a questa cazzo di Rain Alliance Forest delle mie palle piene di peli! Cileni del cazzo, se li prendo gli faccio poi vedere cosa vuol dire lavorare, cosa vuol dire sentirsi carico e pieno di responsabilità, cosa vuol dire giocare a fondo, ogni giorno, sudate carte e luce di stella percepita solo per afa, cosa vuol dire piegarsi, scavare, cosa vuol dire farlo Avendone Perso Ragione.

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